Nell’immane e continua tragedia delle vittime della strada c’è un momento delicato, cruciale, che rimarrà impresso per sempre nelle vite di chi resta. Quel preciso istante in cui viene comunicato l’incidente e il suo esito fatale, la perdita di un figlio, di un padre, di un familiare. E dietro quel momento, a guardare negli occhi, a pronunciare parole, c’è sempre o quasi il volto di un poliziotto della Stradale.
Il progetto Chirone
Anche per gli agenti di polizia il 20 novembre è il giorno del «Ricordo delle vittime della strada».Gianluca Romiti, Dirigente della Polizia Stradale di Udine e del Centro operativo autostradale del Friuli Venezia Giulia, con competenza anche per il Veneto orientale, racconta che lui e i suoi agenti, oggi, per dire le parole giuste hanno chiesto aiuto a Chirone.
Il più sapiente tra i centauri per la mitologia greca, forte e possente ma anche compassionevole proprio come certi poliziotti, Chirone è anche il nome del progetto che dà sostegno e formazione psicologica agli agenti per sostenere la comunicazione del lutto. Uno squarcio di delicata umanità in un mestiere talvolta tremendamente duro, che serve a sostenere le famiglie e lo stesso personale della polizia.
«Noi vogliamo evitare la vittimizzazione secondaria. Comunicare in maniera errata questo momento vuol dire produrre altre vittime, oltre alla persona che non c’è più. Se siamo bruschi, inadeguati, sfuggenti, non completi, rischiamo di generare traumi forti, ecco perché ci siamo voluti organizzare», spiega il comandante Gianluca Romiti. Così all’approccio rigido e schematico più anglosassone, la polizia autostradale a Nord Est ha scelto un approccio più “latino”.
I minuti per metabolizzare e le «parole giuste»
«Quando si entra a casa delle persone, si rimane sull’uscio. Si aspetta. Si chiede permesso. Si guadagnano quei minuti interminabili in modo che chi sta davanti cominci a metabolizzare. Più il tempo passa più la persona si predispone alla notizia», confida il comandante. «Spieghiamo ai colleghi che si entra in casa e non lo si fa certo con lo stesso piglio di una perquisizione. Se possibile allontaniamo i bambini, ma dipende dai contesti. Facciamo sedere la persona, portiamo un bicchier d’acqua e, cosa più importante, diciamo esattamente quello che è successo».
Gianluca Romiti: «Diciamo la verità serve sempre onestà»
Le parole giuste, spiega il poliziotto, sono le parole chiare e oneste: «Non edulcoriamo mai, diciamo esattamente quanto è accaduto, ma sempre senza formalismi o tecnicismi. Offriamo parole che non celano alcun tipo di falsa speranza. E nello stesso tempo ci offriamo alla persona, anche fisicamente se serve.
Se c’è bisogno di un abbraccio l’abbiamo sempre dato, rispettando le sensibilità. Rimaniamo nell’abitazione per tutto il tempo necessario, affidiamo la persona a chi la può sostenere, un parente, un medico, un sacerdote, secondo la situazione. Manteniamo un contatto offrendo il nostro numero di telefono, e non parliamo mai in quel momento delle dinamiche e delle responsabilità dell’incidente».
Chi cura i poliziotti?
Per aggiungere al lutto anche la rabbia, il rimorso, il dubbio, basta una sola parola sbagliata. Così prima delle responsabilità si dà spazio e rispetto al dolore. E anche le colpe passano, anche solo per un istante, in secondo piano. «Noi andiamo a portare il lutto solo nel momento in cui l’incidente è completamente rilevato, cioè quando non c’è più traccia per la strada. Quell’evento rimarrà poi nelle nostre scrivanie per settimane, perdurerà nei tribunali, nella burocrazia, ma quel che è importante è la comunicazione alle famiglie».
Il confronto tra gli agenti
E chi li cura i poliziotti, dopo anni passati a suonare quei campanelli? «L’annuncio del lutto è uno strappo all’anima. Quando si va a casa degli altri si vive un po’ lo stesso dramma. E anche noi abbiamo le nostre strategie», spiega Romiti. «Ci sono degli psicologi incaricati di raccogliere i nostri stati d’animo, ma noi abbiamo anche una strategia più particolare, abbiamo la possibilità di rivolgerci ai nostri pari, a poliziotti nostri colleghi che hanno fatto dei corsi, che vivono esperienze simili, e che sono più facilmente accessibili.
Figure interne professionalmente qualificate che possiedono gli strumenti per sostenerci». Anche Chirone, fuori dall’uscio, deve avere qualcuno a cui appoggiarsi. «C’è qualcosa di più importante di preservare dal dolore? Io credo di no». ( corrieredelveneto.corriere.it )