Con le visite autorizzate dal Dap ai detenuti a regime 41 bis in carceri sarde di massina sicurezza nel mese di maggio, da parte di esponenti radicali e dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino, di cui solo oggi si è avuta notizia, dal clima “buonista” alimentato nei penitenziari si passa direttamente alle concessioni che mai e poi mai i giudici Falcone e Borsellino avrebbero permesso. Il prossimo passo è l’abolizione del 41 bis”. A sostenerlo è il segretario generale del sindacato polizia penitenziaria Spp, Aldo Di Giacomo sottolineando che “quanto è accaduto è di una gravità unica e non è mai avvenuto in 30 anni di lotta alla mafia e alla criminalità organizzata”.
“Siamo ad un punto di non ritorno nell’atteggiamento di chi amministra il sistema penitenziario e che non a caso, all’atto di nomina della Ministra Cartabia, a marzo scorso, era stato contestato da associazioni di vittime di mafia, sindacati, esponenti politici. Pensavamo di aver toccato il fondo con la sentenza della Consulta che ha dichiarato “illegittimo” il visto di censura della corrispondenza tra mafiosi al 41-bis e i loro avvocati ed invece è avvenuto di peggio.
Mi vengono in mente, in proposito, le parole del magistrato Sebastiano Ardita, componente del Csm, ex direttore dell’ufficio detenuti Dap che ha ricordato la lettera che un avvocato lesse in aula di Tribunale a nome dei suoi assistiti, capi del clan dei Casalesi e imputati nel processo, che con intento intimidatorio accusavano la Corte di lasciarsi influenzare dalle opinioni di Roberto Saviano e di Raffaele Cantone”.
“Con le visite autorizzate si supera abbondantemente il rapporto epistolare mafiosi-esterno del carcere. Noi siamo fortemente indignati e ci schieriamo dalla parte dei familiari delle vittime e dei numerosi magistrati anti-mafia che la pensano esattamente come noi, consapevoli – dice Di Giacomo – del rischio che parta dal carcere un ordine di commettere un delitto e di impartire ordini agli uomini dei territori è sempre alto.
Del resto il crescente sequestro di telefonini è la prova di quanto è pericolosa la comunicazione dei capi clan all’esterno, non certo con mogli e fidanzate. Non vorremmo che con la “storica” visita ai 41 bis acquisisca adesso più forza il tentativo, più o meno occulto e mai del tutto superato, di rendere la detenzione per i 41-bis al pari della detenzione normale o da albergo a quattro stelle”.