Una sposa in Venezuela e un’altra in Italia, poliziotto torinese a processo per bigamia

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Poliziotto torinese a processo per bigamia

Un viaggio in Venezuela, un amore per una ragazza del posto che scocca all’improvviso come un colpo di fulmine. E un matrimonio a suggellare un sentimento che all’epoca sembrava immutabile. Infine, il ritorno in Italia e il disincanto.

Lei si allontana ed esce per sempre dalla vita di quel giovane che le aveva messo l’anello al dito in una doppia cerimonia, religiosa e civile. Era il 1997. Quindici anni più tardi, quel matrimonio è solo un ricordo annebbiato di cui pare non esserci traccia in alcun registro.

E così il ragazzo, ormai diventato uomo, nel 2013 convola nuovamente a nozze. Senza neanche rendersene conto, il novello sposo diventa un bigamo. Ed è proprio la bigamia il reato che ora gli contesta la Procura di Torino.

Protagonista di questo caso giudiziario, approdato ieri in udienza preliminare, è un cinquantenne dirigente della Polizia di Stato. Assistito dall’avvocato Marcello Ronfani, l’uomo ha cercato di spiegare come prima di sposarsi per la seconda volta avesse verificato sul portale del ministero dell’Interno se vi fosse traccia del precedente legame.

E non avendo trovato nulla, ha pensato che la prima unione non fosse legalmente valida. Una vicenda singolare, che intreccia il diritto italiano e quello internazionale. A portare alla luce la storia e a segnalare il problema ai superiori dell’indagato e alla magistratura è un cappellano.

Qualche anno fa, dai registri della parrocchia il sacerdote scopre che c’è un vecchio certificato di matrimonio registrato a nome del poliziotto e che i dati anagrafici della donna non coincidono con quelli dell’attuale moglie. E così denuncia la situazione. Sono poi gli investigatori a ricostruire quanto accaduto e a depositare una relazione in Procura.

Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dal pubblico ministero Fabiola D’Errico, il dirigente si sarebbe sposato quando era poco più che un ragazzo. All’epoca non è ancora entrato in polizia e di fatto il matrimonio dura 14 giorni. Poco dopo il rientro in Italia per presentare la sposa alla famiglia, la donna sparisce e torna nel proprio Paese d’origine dove tuttora vive. Tra di loro non c’è più alcuna comunicazione ed entrambi imboccano strade diverse.

In pratica, si lasciano senza grossi traumi. Ma non riflettono sull’opportunità di chiedere l’annullamento delle nozze. Nel frattempo il matrimonio viene iscritto nei registri religiosi e in quelli civili del Venezuela, che vengono trasmessi in Italia. E lì resta indelebile allo scorrere del tempo. Talmente indelebile da far finire l’uomo a processo di fronte a un giudice. Formalmente le due mogli risultano parti offese, ma nessuna di loro si è costituita parte civile in giudizio.

Anzi, l’attuale consorte è al fianco dell’uomo in questa battaglia, consapevole che il problema è più che altro tecnico e non certo sentimentale. Dopo la denuncia, il dirigente ha anche consultato diversi accademici di diritto internazionale, ma le risposte ricevute confermano la validità del primo matrimonio benché sia durato due settimane.

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Adesso, insieme con la moglie, si è attivato per riuscire ad annullare le nozze venezuelane ed evitare così che il reato si perpetui nel tempo. Un passaggio importante che gli consentirà di chiedere la messa alla prova e ottenere, una volta scontata, l’estinzione del reato.

L’atto finale di questa vicenda non è ancora stato scritto, ma ieri il giudice Alfredo Toppino ha concesso all’imputato un rinvio dell’udienza proprio per mettere a punto le pratiche di annullamento e individuare un percorso di lavori socialmente utili.

torino.corriere.it

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