“Sei troppo bassa, non puoi partecipare al concorso”, ma i giudici del Fonsiglio di Stato ribadiscono con veemenza che certi criteri discriminatori sono stati aboliti in quanto incostituzionali.
Incredibile ma vero, purtroppo, ci sono sentenze che raccontano storie che sembrano di un’altra epoca e di un altro mondo, storie umane che si intrecciano a vicende giudiziarie forse evitabili. La tenacia di questa ragazza di Lucca poi trasferitasi in provincia di Pisa, ad ogni modo è stata davvero esemplare.
Tutto ha inizio nel 2016 quando decide di partecipare al concorso per 320 posti per allievo vice ispettore capo di polizia indetto dal Viminale. In sede di visite mediche le viene detto che essendo alta 1,59 e non 1,61, come previsto dal bando di gara per le donne, non può proseguire l’iter concorsuale. La ragazza si “umilia” facendosi misurare con tecniche laser dall’Asl Toscana nord ovest dove risulta esattamente 1,61, e propone ricorso, non sapendo all’epoca che quello che stava subendo era assolutamente illegittimo.
Comunque visto che dal ministero non intendevano sentir ragioni e insistevano con le loro tesi la ragazza si è rivolta all’avvocato Massimo Nitto e nel 2018 già il Tar aveva annullato il provvedimento di esclusione. Ma il ministero dell’interno non si è dato per vinto e ha impugnato al Consiglio di Stato la sentenza dei giudici amministrativi fiorentini che ieri (24 maggio) hanno risposto in modo lapidario al Viminale respingendo l’appello per totale infondatezza, usando parole molto chiare e precise nelle relative motivazioni.
Già il legislatore aveva dapprima eliminato le differenza tra maschi e femmine relativamente all’altezza minima per partecipare ai concorsi nelle forze armate e di polizia ma poi tale criterio era stata abolito del tutto perché privo dei requisiti costituzionali. Se non esistono particolari motivi per una mansione specifica dove magari un’altezza minima può influire sul lavoro da svolgere, i giudici di Palazzo Spada definiscono tale criterio “una inammissibile discriminazione”.
Si legge infatti in sentenza: “In ogni caso, poiché il limite minimo di altezza deve trovare una precisa giustificazione nella tipologia e nella natura delle mansioni espletande, traducendosi altrimenti in una inammissibile discriminazione, nel caso di specie, non è giustificato il permanere di un limite di altezza per la mera circostanza della data di indizione del concorso, essendo nel frattempo venuti meno in via generale i detti requisiti di altezza per l’accesso alle forze di polizia”.
D’altronde un decreto del presidente della Repubblica nel dicembre del 2015 aveva chiarito, a seguito di sentenze della corte di giustizia europea e della corte Costituzionale, all’articolo 4 sulle disposizioni di adeguamento della legge numero 2 del gennaio del 2015 che “all’articolo 586, comma 1, lettera b), la parola: statura, è soppressa”. Inevitabile quindi la sentenza del Consiglio di Stato che ha respinto l’appello del Viminale che insisteva sul fatto che il bando era precedente alle nuove disposizioni che invece ovviamente hanno effetto retroattivo.
Scrive molto chiaramente in sentenza il consiglio di Stato: “La giurisprudenza del consiglio di Stato, da cui il collegio non ritiene di potersi discostare nel caso di specie, è ormai consolidata nel ritenere che la previsione dei limiti di altezza contenuta nel bando di concorso pubblicato prima della entrata in vigore del regolamento 207/2015 non possa più trovare applicazione, essendo stato già espunto dall’ordinamento il limite di altezza per l’accesso alle forze di polizia, con l’entrata in vigore della legge 2 del 2015.
Pertanto, non sussistendo più una adeguata dimostrazione in ordine alla specificità delle mansioni che avrebbe potuto giustificare il permanere di una previsione escludente fondata sul parametro dell’altezza, emerge palesemente il contrasto del bando con la direttiva 2000/78/Ce, che vieta ogni discriminazione nell’accesso al lavoro anche pubblico, se non è giustificata dalle concrete mansioni svolte; ciò anche con riferimento alle forze di polizia”.
L’incredibile e forse evitabile caso giudiziario è chiuso. Quello umano resterà nella memoria della ragazza che però deve essere orgogliosa della sua tenacia. Grande soddisfazione è stata espressa anche dall’avvocato lucchese di origine ma con studio legale a San Romano e Montopoli, che ha voluto sottolineare anche l’importanza di sentenze come queste per il precedente che inesorabilmente creano all’interno della cosiddetta giurisprudenza che possono quindi portare vantaggi o ispirazioni a chi si trova a dover affrontare casi analoghi.
“Una vicenda – afferma l’avvocato Massimo Nitto – che speriamo possa essere utile anche ad altre persone sottoposte a queste inammissibili discriminazioni come ha sancito il Consiglio di Stato recependo anche la frase utilizzata nell’istanza presentata per conto della mia cliente”.
La ragazza, poco più che trentenne ora è finalmente ispettore di polizia in una questura della Toscana, il suo sogno da sempre, e valuterà se chiedere anche un risarcimento o meno al Viminale. Per ora si gode, meritatamente, questa vittoria definitiva che stava per infrangere i suoi desideri e aspirazioni a cui aveva invece diritto oltre che tutti i titoli e le capacità.