31 anni dalla strage di via d’Amelio… Il racconto di quel tragico pomeriggio di luglio del 1992

Borsellino-e-la-scorta
[sc name=”facebook2″ ][/sc]

Sono passati 31 anni dalla strage di via D’Amelio, quella in cui Paolo Borsellino venne ucciso dalla mafia. Il 19 luglio 1992 è una di quelle date indelebili della Storia d’Italia che, insieme alla strage di Capaci avvenuta il 23 maggio dello stesso anno, segna un altro passo di terrore in tempi duri. Morte e distruzione dopo anni di omicidi, bombe e incidenti difficili da sbrogliare.

Così come, ancora oggi, non si è riuscito a scoprire tutto dell’attentato a Borsellino. Chi ha azionato la bomba, per esempio, o che fine ha fatto l’agenda rossa che il giudice si portava sempre appresso.  

31 anni dalla strage di via d’Amelio

Esattamente 57 giorni dopo la strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo, e i tre agenti di scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, il 19 luglio 1992 in via D’Amelio a Palermo, alle ore 16.58, proprio quando Borsellino, appena sceso dall’auto, si apprestava ad andare a trovare la madre, venne azionata a distanza la miccia di una Fiat 126 carica di esplosivo.

Insieme al giudice morirono i cinque agenti della scortaEmanuela LoiAgostino CatalanoVincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Il depistaggio e l’unico superstite

Antonino Vullo, il sesto uomo della scorta del giudice, è l’unico superstite della strage di via D’Amelio: “Il 19 luglio per me è tutti i giorni, ma lo deve essere per tutti perché il sacrificio di chi ha lavorato per la nostra terra non deve essere dimenticato”, ha detto ad Agi. In questi trent’anni migliaia di persone si sono recate alle celebrazioni della commemorazione “ma io – racconta Vullo – in via d’Amelio ci vado da solo anche durante l’anno. Ci vado perché ancora il ricordo di quel giorno rimbomba nella mia mente”. Ma per l’agente superstite le celebrazioni per le stragi vengono vissute da molti come “un momento istituzionale, ma non con il cuore”.

Perdipiù pesa come un macigno il depistaggio che c’è stato sulla ricerca dei veri responsabili dell’esplosione. Così come pesa la sentenza pronunciata dal Tribunale di Caltanissetta qualche giorno addietro a carico di tre poliziotti, uno assolto e due raggiunti da prescrizione.

“Non possono essere stati loro gli artefici del depistaggio – sottolinea con nettezza Vullo – forse hanno eseguito degli ordini che sono giunti dall’alto”. Vullo qualche anno prima della strage di via D’Amelio era stato al reparto mobile con Michele Ribaudo, l’unico che è stato assolto al processo di primo grado celebrato a Caltanissetta.

Preferisce non entrare nel merito della sentenza dei giorni scorsi anche se confessa di essere “stanco e amareggiato” perché dopo trent’anni “c’è tanto di occultato tra le istituzioni ma bisogna arrivare ad una verità storica sulle due stragi”. Il riferimento è anche a quella di Capaci.

quotidiano.net

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!