Travolse e uccise un Carabiniere: pena ridotta all’investitore che guidava ubriaco

carabinieri

Il caso del carabiniere Emanuele Anzini, travolto ad un posto di blocco da Matteo Colombi Manzi che guida ubriaco verso casa, si è chiuso davanti alla Corte d’Appello di Brescia con una sentenza che ha ridotto i 9 anni di pena stabiliti in primo grado il 14 febbraio 2020.

I giudici hanno accolto l’istanza di patteggiamento concordato, portata avanti dall’avvocato, riducendo la pena a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni, calcolando 5 anni e 4 mesi per l’omicidio stradale e 10 mesi e 20 giorni per l’omissione di soccorso e la fuga.

Tenuto conto dei 3 mesi e 22 giorni tra carcere e arresti domiciliari, consentirà all’imputato di mantenere la pena sotto i 6 anni ed accedere all’affidamento in prova speciale ai servizi sociali, previso per legge per chi ha problemi di dipendenza da droghe o alcol e decide di seguire un programma terapeutico con il Sert. Colombi Manzi, 36 anni, di Sotto il Monte, ex cuoco ora con lavori saltuari in diverse catene di supermercati, lo ha fatto subito dopo la tragedia.

«La notizia della riduzione di pena per noi non è altro che un nuovo dolore che si aggiunge a tutto quello che stiamo vivendo già da due anni — commenta la sorella Catia Anzini, che con la mamma Eleonora Pendenza e la compagna Susana Pagnotta si sono affidate al gruppo Giesse per il risarcimento dei danni —. Considerando che sta scontando la pena a casa sua questo ulteriore regalo di tre anni non mi sembra affatto giusto. Mio fratello ha trascorso 22 anni della sua vita a servire lo Stato, ma per la legge italiana, evidentemente, la sua vita conta poco».

«Per noi familiari — è l’amaro sfogo della sorella — erano già pochi i 9 anni stabiliti in primo grado, anche se nessuna pena potrà mai restituirci Lele. Ma adesso è come se ci stessero uccidendo nuovamente perché su quella strada quella notte di cadavere ce n’era uno solo, ma di persone uccise ce ne sono state molte di più». Catia Anzini lo aveva già detto, per tentare di spiegare un dolore incurabile.

L’avvocato della difesa preferisce il silenzio. Ha sempre mantenuto toni bassi, ben consapevole delle responsabilità di Colombi Manzi, anche se convinto che il tragico finale non sia stato solo frutto della guida alterata dall’alcol. L’ex cuoco si era messo al volante con un tasso cinque volte superiore a quello consentito dalla legge. Ma, secondo quanto ricostruito dal legale, anche attraverso i filmati delle telecamere di Terno, i lampeggianti dell’auto dei carabinieri erano spenti e Anzini si era forse sporto eccessivamente verso il centro della carreggiata. L’Audi A3 proveniva in direzione opposta rispetto al punto dove si erano fermati i militari. L’impatto con l’auto era avvenuto sul lato del passeggero, segno, sempre per la difesa, di un tentativo, seppure tardivo, di scongiurare l’investimento da parte dell’imputato.

Dopo il colpo, Colombi Manzi non si era fermato. Aveva tirato dritto fino al garage di casa, salvo cambiare idea dopo pochi minuti. «Sono stato preso dal panico», si era giustificato. Una volta ripercorsa la strada fino al luogo dell’incidente, aveva trovato la prima pattuglia andata in soccorso. Dopo l’acol test, la polizia stradale lo aveva arrestato e portato in carcere.

Il pm Raffaella Latorraca gli aveva contestato l’omicidio volontario, poi riqualificato in omicidio stradale. Oltre ai familiari, dopo il primo grado, sono state risarcite l’associazione Familiari vittime della strada e l’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale. Non l’Arma, che non si era costituita parte civile. La Presidenza del consiglio dei ministri, su parere dell’Avvocatura di Stato, non aveva concesso l’autorizzazione.

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