Karen B, 31 anni di Bologna, ha un sogno nel cassetto: entrare in Polizia. E pensare che ce l’aveva quasi fatta: due esami e la tesi alla scuola superiore di Roma, 16 dei 18 mesi complessivi portati a termine. Dalla quale, però, ora è stata esclusa. Il motivo? Un tatuaggio, una piccola rosa dei venti, sul dorso del piede destro, fatto a 16 anni e nel frattempo rimosso. “Su 80 candidati in graduatoria – racconta la ragazza, una laurea in giurisprudenza, un master in criminologia con una tesi sui Savi e sulla Uno Bianca, articoli di diritto e libri scritti – ero settima, la scuola mi scelse poi per il calendario benefico del 2020 come rappresentante delle donne della Polizia di Stato, mi hanno sempre definito un elemento eccellente e adesso il mio sogno rischia di essere stroncato”.
Rosa rimossa. Una vicenda paradossale che poggia le basi nel 2019 quando Karen supera l’iter concorsuale e accede alla scuola di Roma, dopo essere stata respinta una prima volta l’anno precedente per via del piccolo tatuaggio. Ma questa volta è diversa. “Passo i quiz e le cinque giornate di prova però vengo bloccata alle visite mediche”. La rosa dei venti non c’è più, rimossa grazie a varie sedute di laser, resta un arrossamento del piede. Tutto comunque sembra inutile: non idonea al servizio per il tatuaggio “in zona non coperta dall’uniforme”. Karen non si abbatte e ricorre al Tar entrando alla scuola con riserva.
L’ok del Tar. “A novembre 2019 mi fecero giurare fedeltà alla Repubblica”. A gennaio la discussione davanti al tribunale amministrativo del Lazio, il mese successivo la pronuncia: idonea, con i giudici che accolgono prima il ricorso cautelare e poi nel merito. “La Commissione medica – scrive il Tar – non ha valutato l’eventualità che il tatuaggio, in fase di trattamento di rimozione, risultasse praticamente non visibile con la definizione originaria in quanto destinato a scomparire con il trattamento sanitario di rimozione avviato da tempo”. La strada del commissario Bergami sembra in discesa, “a settembre ricevetti il giudizio di idoneità ai servizi di Polizia per poi accedere al secondo anno di corso”. Le viene consegnata la fascia azzurra, il conferimento di pubblica funzione di comando. Tutto bene quel che finisce bene? Macché. «Inidonea». Il 12 ottobre ecco la stangata: il ministero dell’Interno, “otto mesi dopo”, impugna l’atto e chiede la sospensione della bolognese; il 12 novembre la discussione, il giorno successivo il Consiglio di Stato pubblica l’ordinanza cautelare accogliendo la sospensiva. “Avvisai i miei superiori, – continua Karen – mi risposero di restare a scuola fino all’esecuzione dell’ordinanza”. Pertanto, si legge nella memoria dell’avvocato, “ha continuato a frequentare il corso, a percepire lo stipendio, a sostenere tutti gli esami, con assegnazione del titolo della tesi”.
Doccia gelata. Arriviamo al 13 marzo, l’udienza pubblica è discussa, il 18 la Polizia dimette il commissario con decreto, l’8 giugno con sentenza il Consiglio di Stato accoglie la volontà del Viminale. Esclusa. E adesso? “La sentenza – spiega ancora lei – non tocca tutti i punti da noi evidenziati. Valuteremo con l’avvocato il ricorso in Cassazione o se rivolgersi alla Cedu. Non mollo di certo qui, questo è sicuro”.
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