Aveva sempre tentato di spiegare che non voleva fare alcun uso strumentale di quegli oggetti in dotazione alle forze dell’ordine acquistati liberamente su internet e indossati da lui che, però, non era né carabiniere né poliziotto. Si era anche fatto una foto in divisa e l’aveva pubblicata sui Social.
Gesto che a un 44enne di Sennori – evidentemente con la passione per le divise dei militari – è costato una denuncia e un processo. D’ufficio era infatti partito un procedimento della polizia postale di Roma e dopo otto mesi di indagini l’uomo era finito a giudizio con le accuse di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi e ricettazione. Ieri mattina l’imputato, difeso dall’avvocato Marco Manca, è stato assolto dal giudice Mauro Pusceddu.
Il pubblico ministero, al termine della discussione, aveva chiesto una condanna pesante: un anno e otto mesi di reclusione. Per l’accusa l’imputato avrebbe «illecitamente detenuto, fabbricato o comunque formato segni distintivi, contrassegni, oggetti e documenti di identificazione in uso ai corpi di polizia, nonché oggetti e documenti che ne simulano la funzione». Un reato, quindi, insieme all’altro contestato, che era la ricettazione.
L’uomo aveva tutto ciò che gli serviva per sembrare – almeno all’apparenza – un vero carabiniere. Dal porta tesserino da tasca alla spilla che raffigurava lo stemma araldico del Reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania”. Aveva persino applicato una sua fotografia su un ritaglio color amaranto con l’emblema della Repubblica italiana in oro, vestito con un basco blu scuro di quelli in uso all’Arma dei carabinieri, una maglia nera con una toppa con la scritta “Carabinieri” e un’altra con lo stemma del “brevetto di paracadutista militare”.
L’imputato sarebbe finito nei guai proprio in seguito al ritrovamento di tutta una serie di oggetti in uso ai carabinieri ma anche altri riconducibili a un istituto di vigilanza privata.
Il giudice ha evidentemente accolto la tesi esposta dal difensore, il quale aveva sottolineato che quelli di cui il 44enne era stato trovato in possesso erano in realtà «oggetti di libera vendita che uno può ordinare tranquillamente anche su internet – aveva detto il legale nella sua arringa – Non ne ha fatto alcun uso strumentale, ha postato semplicemente una fotografia».