Carola Rackete, la giovane capitana della nave Sea Watch, che nella notte del 29 giugno di due anni fa forzò il divieto di ingresso al porto di Lampedusa e speronò, nella manovra, una motovedetta della Guardia di Finanza, non andrà a processo. Il caso è chiuso. La gip di Agrigento, Alessandra Vella, accogliendo la richiesta del Procuratore Luigi Patronaggio, ha archiviato l’inchiesta sulla comandante tedesca, che era accusata di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra, un reato previsto dall’articolo 1.100 del Codice di Navigazione. La giovane finì anche in manette, su richiesta della Procura. Ma scarcerata pochi giorni dopo dalla stessa gip che oggi ha archiviato l’indagine. Niente processo, dunque, perché quella notte, con a bordo 42 profughi che erano stati soccorsi 17 giorni prima, “ha adempiuto al dovere di soccorso in mare”, come scrive la gip nel provvedimento visionato dall’Adnkronos. Non solo. La sua posizione è stata archiviata perché la motovedetta della Guardia di Finanza “non era una nave da guerra” come, invece, prevede il reato inserito all’articolo 1.100 del Codice della Navigazione. Eccolo, nero su bianco, il motivo per quale la comandante non andrà alla sbarra. Per la gip il reato è “insussistente” perché la motovedetta della GdF “difetta della qualità di nave da guerra” e in quell’occasione era “condotta da un maresciallo”.
Rackete aveva il “dovere di portare i migranti in un porto sicuro” non potendo più garantire la sicurezza a bordo delle 42 persone soccorse 17 giorni prima che l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini non voleva far sbarcare. Dopo essere arrivato di notte davanti al porto di Lampedusa, nonostante il divieto dell’allora ministro Salvini, invocò lo stato di necessità e ribadì la richiesta di sbarco immediato. Poi, non ottenendo alcuna risposta decise di forzare il divieto ed entrò in porto. Ma nella manovra speronò la motovedetta della Guardia di finanza. L’indagata, sempre secondo la gip, quella notte, quando entrò in porto nonostante i divieti dell’allora ministro dell’Interno Salvini, ha “posto in essere le condotte contestate in presenza di scriminante dell’adempimento del dovere di soccorso in mare di profughi, come derivante, anche, dagli obblighi di diritto internazionale e consuetudinario più ampiamente ricostruiti con i provvedimenti sopra richiamati”. In altre parole, secondo la giudice Vella, Rackete ha fatto bene a entrare in porto perché ha salvato 42 persone in mare.
Nel provvedimento la giudice richiama anche l’ordinanza di annullamento dell’arresto del luglio 2019 quando non convalidò l’arresto di Carola. E anche la conferma della sua ordinanza decisa dalla Corte di Cassazione il 16 gennaio del 2020. La terza sezione penale della Cassazione aveva rigettato il ricorso presentato dal Procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e dall’aggiunto Salvatore Vella contro l’annullamento dell’arresto escludendo il reato di resistenza e violenza a nave da guerra, che era stato contestato alla capitana. Nella richiesta di archiviazione la Procura ha ricordato proprio l’ordinanza della gip che annullò l’arresto di Rackete. Sottolineando anche quanto scritto dalla Cassazione: “In temi di circostanze ostative all’arresto in flagranza, rappresentate dalla causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere o dell’esercizio di una facoltà legittima, e da una causa di non punibilità, non è richiesto che le stesse sussistano con evidenza, potendo essere anche solo verosimilmente esistenti”. Richiami che sono finiti anche nel provvedimento della gip Vella di archiviazione dell’inchiesta su Carola.
“Ci siamo adeguati alle indicazioni della Corte di Cassazione che aveva confermato l’annullamento dell’arresto. Pur avendo qualche perplessità sul bilanciamento dei beni giuridici in gioco”, dice all’Adnkronos il Procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, commentando la decisione della gip di archiviare l’indagine a carico della capitana tedesca.
Soddisfatti i legali di Carola Rackete, gli avvocati Salvatore Tesoriero, Leonardo Marino e Alessandro Gamberini. “Il rilievo dato all’adempimento del dovere è la proiezione, nel procedimento ora archiviato, di quanto affermato sin da subito da noi, poi dal giudice delle indagini preliminari che riconobbe l’illegittimità dell’arresto di Carola, infine dalla Cassazione che confermò l’illegittimità di quell’arresto”, spiega all’Adnkronos l’avvocato Salvatore Tesoriero.
“Queste decisioni hanno un significato giuridico e politico importantissimo perché ristabiliscono la gerarchia dei valori in gioco – aggiunge- prima viene la vita umana che deve essere salvata; nel processo, prima viene la libertà di chi ha adempiuto al proprio dovere, che quindi non può essere arrestato”. “Con l’archiviazione dell’inchiesta il gip di Agrigento ha riconosciuto il dovere di salvare vite umane”, ha poi aggiunto Tesoriero. “La Procura – prosegue il legale – all’esito dell’inchiesta ha svolto ulteriori indagini e ha valutato che effettivamente la causa dell’adempimento del dovere va rilevata e debba esserci”. “C’erano diverse avvisaglie – dice ancora la difesa -che arrivavano anche dalla Corte di Cassazione”.
E su Salvini dice: “Ricordo ai tempi le disposizioni dell’ex ministro Salvini e rilevo oggi, a distanza di due anni, che Carola Rackete aveva agito per salvare vite umane in adempimento di un dovere. Questo è stato sostenuto dall’inizio”. E ricorda anche “la pronuncia di un giudice contro cui si scagliarono le forze politiche, al tempo contrarie agli sbarchi, la nostra cassazione , cioè l’organo di riferimento dell’interpretazione dei diritti del nostro paese, ha affermato nella vicenda di chi è in mare intervenire per salvare vite umane”.
Soddisfatta anche Giorgia Linardi, portavoce della Sea Watch, che due anni fa seguì passo dopo passo, Carola Rackete, dall’arresto alla scarcerazione. “La richiesta di archiviazione per Carola Rackete è stata accolta ed è stato emesso il decreto di archiviazione, quindi possiamo considerare ufficialmente chiusa la vicenda che ha visto Carola indagata per essere entrata in un dichiarato stato di necessità nel porto di Lampedusa nel giugno del 2019”, dice Linardi all’Adnkronos. “E’ una conclusione logica e necessaria di una vicenda rispetto alla quale la Corte di Cassazione, responsabile per l’interpretazione dei diritti nel nostro paese si era già espressa sottolineando due importantissimi principi – dice Linardi – quello per cui soccorrere chiunque si trovi in pericolo in mare costituisce l’adempimento di un dovere e pertanto non può essere criminalizzato e il principio per cui la nave e che presta soccorso non può essere considerata un porto sicuro e il soccorso stesso si può considerare concluso solo nel momento in cui le persone giungono in un porto salvo”.