Superare Quota 100, il pensionamento anticipato con 62 anni di età e 38 di contributi non sarà semplice per il governo Draghi. La misura introdotta dall’esecutivo giallo-verde nel 2019, va detto, non ha avuto quel successo che qualcuno si attendeva. Le domande sono state di molto inferiori alle aspettative. Ad oggi quelle accolte sono poco più di 267 mila. L’attesa era per quasi il triplo. Quello in corso è l’ultimo anno di validità della misura, che era stata introdotta in via sperimentale. Eppure proprio in questi ultimi mesi quota 100 sta vivendo una sua seconda vita. Da qualche mese le domande hanno iniziato ad arrivare più copiose all’Inps.
La ragione è abbastanza semplice. La pandemia e i lockdown hanno messo in ginocchio interi settori produttivi. Milioni di persone sono in Cassa integrazione, molti non sanno quale sarà il loro futuro lavorativo una volta che verrà meno il blocco dei licenziamenti che, al momento, è fissato al 30 aprile. Quota 100, insomma, sta diventando una sorta di ammortizzatore sociale: meglio una pensione certa che uno stipendio incerto. Nonostante questo, però, il destino della misura sembra segnato. Il governo non rinnoverà il pensionamento con 62 anni e 38 di contributi.
ELABORAZIONI AL VAGLIO
Mario Draghi, prima di diventare presidente del Consiglio, ha sempre posto un forte accento sulla necessità di contenere la spesa pensionistica e non creare ulteriore debito per le future generazioni. Ma tra questo e lo “scalone” di 5 anni che si creerebbe lasciando semplicemente scadere quota 100 ce ne passa. Raccontano che il neo ministro dell’Economia, Daniele Franco, abbia approfondito con un certo interesse le elaborazioni fatte da Alberto Brambilla, uno dei massimi esperti di pensioni in Italia, ex sottosegretario al Lavoro e già presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Da tempo Brambilla propone di lasciare esaurire quota 100, introducendo però alcuni correttivi alla riforma Fornero. Innanzitutto sarebbe necessario sganciare definitivamente l’anzianità contributiva dall’andamento dell’aspettativa di vita. A 41 anni e 10 mesi di lavoro per le donne, e a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, bisognerebbe poter andare in pensione. Questi parametri non dovrebbero più aumentare. Il secondo punto sarebbe una flessibilità in uscita senza penalizzazioni. A tutti dovrebbe essere permesso di lasciare il lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi senza penalizzazioni (una sorta di quota 102), anche perché le penalizzazioni sono insite nel meccanismo del calcolo dei coefficienti di trasformazione, che riducono automaticamente la pensione ogni volta che si anticipa l’uscita dal lavoro. Sul tavolo ci sono comunque anche altre possibilità. Il meccanismo a cui lavorava il governo Conte bis (il confronto con le parti sociali non era ancora entrato nel vivo) prevedeva la possibilità di uscire a 62-63 anni con una penalizzazione economica vicina al 3 per cento per ogni anno di anticipo rispetto al traguardo dei 67 anni. Un effetto simile si otterrebbe con una “Opzione donna” allargata ai lavoratori maschi, pensione a 63-64 anni ma assegno calcolato interamente con il contributivo. Ulteriori ipotesi, ben viste dal mondo delle imprese, prevedono un “cassetto previdenziale”, una sorta di scivolo che permetterebbe l’uscita di lavoratori vicini all’età della pensione (ad esempio un paio d’anni) in caso di crisi aziendali.
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