I diritti del personale militare non sono sempre e comunque prevalenti sulle esigenze organizzative dell’amministrazione, in questo caso del ministero della Difesa. Il principio è stato ribadito dai giudici della prima sezione del Tar Puglia chiamati a pronunciarsi su una questione relativa a un ricongiungimento familiare fra militari.
È la storia di una donna fuciliere, di suo marito in forze all’Aeronautica militare e di un viavai di carte bollate.La storia comincia nel 2018, il 2 marzo, quando la graduata chiede al suo Comando di essere ricongiunta a suo marito, sottufficiale dell’Aeronautica, ma il 31 luglio la richiesta viene respinta, dal momento che il coniuge era stato assegnato alla sua sede, al termine del corso di formazione, e dunque non rientrava nei casi in cui è consentito dalla norma.
Il 21 agosto la donna ci riprova, chiedendo di essere trasferita a Trani per tre anni, secondo quanto prevede un decreto legislativo che incentiva “una forma di mobilità volta a ricongiungere i genitori del bambino favorendo concretamente la loro presenza nella fase iniziale di vita del proprio figlio”. Anche in questo caso, la risposta è “no”, ma le viene offerta collocazione a Bari e il 28 gennaio 2019 viene assegnata al Reparto Comando e Supporti Tattici per la durata di tre anni.Il 28 ottobre 2019 la militare chiede nuovamente di essere “reimpiegata a domanda” nella sede di Bari, o in quelle di Trani e Barletta.
L’istanza, risponde l’amministrazione, non sarebbe stata esaminata, sia perché la donna era già stata assegnata a Bari, sia perché nella documentazione inviata mancava la domanda di suo marito. È a quel punto che la fuciliera si rivolge al Tar Puglia, proponendo ricorso, che nei giorni scorsi è stato discusso e respinto dai giudici della prima sezione del tribunale amministrativo. «È principio consolidato in materia di trasferimenti a domanda del personale militare che non sussiste in capo al richiedente un diritto soggettivo perfetto al conseguimento del risultato sperato – premettono – tale da prevalere sempre e comunque sulle comtrapposte esigenze organizzative dell’Amministrazione» ma, spiegano, piuttosto «un mero interesse pretensivo valutato dall’Amministrazione in bilanciamento con l’interesse pubblico alla corretta funzionalità ed operatività degli uffici», come riconosce «l’articolo 97 della Costituzione». E poi evidenziano «l’assenza di posti corrispondenti e disponibili nell’organico delle sedi di destinazione».
Scendendo nel particolare, i magistrati amministrativi fanno notare che la «richiesta di trasferimento appare intempestiva, posto che al momento della sua presentazione l’interessata risultava già assegnata alla sede di Bari per un periodo di tre anni». In secondo luogo, motivano ancora, manca «l’indispensabile requisito (viste le peculiari ragioni della richiesta di assegnazione) della manifestazione di assenso del coniuge».
La prima sezione del Tar Puglia dedica poi spazio a chiarire il perché delle norme militari relative ai trasferimenti: «La concessione di trasferimenti fuori dalle procedure ordinarie dev’essere ancorata a presupposti particolarmente rigorosi al fine di non determinare il possibile aggiramento del sistema ordinario in quanto gli stessi».
Questo perché, incidendo sull’organico della sede di assegnazione, penalizzano le aspettative di chi è inserito, magari da lungo tempo, nelle graduatorie di merito delle procedure ordinarie senza poter raggiungere, in mancanza di posti disponibili, la sede di servizio richiesta».
Nonostante tutto, però, lasciano aperta la porta ad una nuova, futura valutazione: «Le esigenze familiari in ordine a una collocazione definitiva – concludono – potranno essere oggetto di nuova valutazione da parte dell’amministrazione militare al verificarsi delle condizioni che consentano di conciliare la tutela degli interessi di rilevanza costituzionale (come il nucleo familiare) con quelle della Amministrazione di appartenenza dei coniugi, mediante l’individuazione di una sede vacante per entrambi i militari, che però allo stato non risulta».