La corte d’appello militare di Roma, a cui si era appellata la Procura, ha emesso oggi sentenza di assoluzione per il carabiniere di San Giovanni in Fiore, indagato per una vicenda risalente al 2020, quando vennero rinvenuti alcuni proiettili all’interno di un’immobile di famiglia.
Protagonista della vicenda giudiziaria un giovane carabiniere di 30 anni di San Giovanni in Fiore, assistito dall’avvocato Ugo Ledonne.
Come riporta quicosenza.it, durante una perquisizione effettuata da altri carabinieri, erano stati rinvenuti alcuni proiettili, in uso ai corpi militari, all’interno dell’immobile di famiglia del 30enne carabiniere. I carabinieri intervenuti avevano attribuito la paternità di queste munizioni proprio al loro collega, finito così a processo.
Durante l’istruttoria dibattimentale, il difensore del 30enne dimostrò come il militare non vivesse in quella abitazione e che non vi erano indizi sufficienti per poter sostenere l’ipotesi accusatoria.
La procura militare aveva chiesto l’applicazione della lieve entità del fatto, ma il tribunale militare accolse appieno le tesi difensive dell’avvocato Ledonne ed ha assolto con la formula più ampia il carabiniere “perché il fatto non sussiste”.
Rinviato a giudizio con l’accusa di “ritenzione di effetti militari”, il tribunale militare di Napoli aveva assolto il militare cosentino con la formula più ampia perchè ‘il fatto non sussiste’. La Procura aveva fatto ricorso contro la sentenza del tribunale militare di Napoli.
I legali, durante il dibattimento, hanno anche depositato la sentenza di assoluzione, emessa dal Tribunale di Cosenza poiché per lo stesso fatto il giovane militare era stato imputato e poi assolto per la detenzione dei proiettili rinvenuti.
Insomma, uno stesso fatto aveva fatto scaturire sia il procedimento penale, presso il tribunale ordinario di Cosenza sia il procedimento presso il tribunale militare di Napoli.
La corte d’appello militare di Roma, dunque, ha emesso sentenza di assoluzione a carico dell’imputato cambiando la formula assolutoria in quanto “l’imputato non ha commesso il fatto”, allineandosi così alla stessa pronuncia che aveva emesso, nel giugno del 2003, il tribunale di Cosenza.
Lì è stato fatta l’eccezione sul divieto di secondo – giudicato nel bis in idem processuale (principio che si desume dal disposto dell’art. 649 Cod. proc. pen., che sancisce il divieto di nuovo giudizio per l’imputato assolto) – che la Corte ha ritenuto di superare.