Il ponte aereo è chiuso. Gli ultimi 58 afghani arriveranno oggi a Fiumicino su un volo dell’Aeronautica militare. Un C-130J decollato ieri dalla capitale dell’Afghanistan. Poco dopo sono partiti i soldati (Col Moschin e carabinieri del Tuscania) della Joint evacuation task force che hanno gestito, prima in giugno e poi in agosto, l’evacuazione — la più massiccia a livello europeo — di 4.890 afghani, dei quali 1.301 donne e 1.453 bambini. Un bilancio superiore a quello di Francia e Germania.
Per loro la fine di un incubo, protetti e assistiti «che — spiega il ministro della Difesa Lorenzo Guerini — hanno svolto un eccezionale lavoro garantendo il ponte aereo che ha portato in Italia un numero di persone superiore a quello previsto». Per il generale Luciano Portolano, alla guida del Comando operativo di vertice interforze (Covi) che ha coordinato l’operazione Aquila Omnia, «abbiamo fatto il massimo, con oggi termina il nostro impegno ventennale in Afghanistan, ma il mio pensiero è per i 54 caduti italiani, le loro famiglie, i 723 feriti e le vittime degli atti terroristici».
La Difesa ha messo in campo per l’operazione Aquila Omnia 8 aerei, 3 KC767 che si sono alternati tra l’area di operazione e l’Italia e 5 C130J, questi ultimi dislocati in Kuwait, da cui è partito il ponte aereo per Kabul. In 15 giorni sono stati effettuati in totale 88 voli.
Oltre 1.500 i militari italiani impegnati su disposizione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini in questa complessa operazione svolta in collaborazione con i ministeri degli Esteri, degli Interni e della Salute. Importante anche il contributo fornito dal Dipartimento della Protezione Civile, dalle Regioni, dalla Guardia di Finanza, dalla Croce Rossa Italiana, da ADR-Aeroporti di Roma, da numerose associazioni e dall’Onlus 9 che ha contribuito all’evacuazione con alcuni voli civili.
Intanto prosegue l’operazione accoglienza degli afghani arrivati in Italia. I loro racconti sono drammatici. Ma ci sono segnali di speranza: come l’arrivo della piccola Hira data alla luce ieri all’ospedale di Sulmona da una donna che ha perso il marito fucilato dai talebani.