Due mesi fa era stato arrestato e poi sospeso dal servizio. Venerdì scorso, ormai stremato dai rimpianti e dall’onta della galera, ha legato i lembi di un lenzuolo alla finestra e li ha usati come un cappio. E’ finita in modo drammatico la vita dell’agente della questura che lo scorso 19 maggio, al parco delle Cascine poco distante dalla fermata della tramvia, aggredì un nordafricano (con precedenti per spaccio) per poi esplodere due colpi di pistola in aria. L’uomo, denunciato per gli spari e arrestato insieme alla compagna per aver fatto resistenza ai carabinieri, era detenuto in una sezione protetta e non aveva compagni di cella. Sono state le guardie penitenziarie a trovare il corpo senza vita e a dare l’allarme, ma per lui non c’è stato niente da fare. Indagini sono ora in corso per ricostruire i suoi ultimi momenti di vita: la procura ha aperto un fascicolo e formulato una prima ipotesi di omicidio colposo, funzionale allo svolgimento dell’autopsia in programma nei prossimi giorni all’istituto di medicina legale di Careggi.
Di certo, come riferito da più testimoni, il poliziotto era caduto in una fortissima depressione appena oltrepassati i cancelli del carcere. Secondo fonti vicine alla direzione del carcere, i propositi suicidi erano stati intercettati dagli operatori della struttura, nel corso dei colloqui, tanto che nei giorni scorsi il caso era stato segnalato al gip e alla procura. Persone vicine all’agente raccontano di una triste parabola discendente iniziata già da alcuni anni, per vicende personali che avevano portato al trasferimento per incompatibilità ambientale dalla questura di Rimini a quella di Firenze. Dopo un breve periodo al corpo di guardia della questura, lo scorso 19 maggio il poliziotto ha di fatto chiuso la sua esperienza con la polizia con il clamoroso raid contro il presunto pusher nordafricano.
Secondo la ricostruzione l’agente voleva vendicare uno screzio tra l’uomo e la compagna, avvenuto il giorno prima: durante lo scontro avrebbe colpito il rivale con il calcio della pistola e poi esploso due colpi in aria, prima di scappare in scooter verso l’appartamento condiviso con la fidanzata. Poi l’arrivo dei carabinieri, la reazione scomposta e violenta, e l’arresto.
Durissimo per lui, dopo una lunga carriera (tra Roma e Rimini) in cui aveva anche raccolto alcuni encomi, accettare il contrappasso della galera. Giorni, settimane di isolamento forzato e di pensieri sempre più cupi, fino a quando due giorni fa la sua vita è finita. Un’altra vittima del sistema carcerario, secondo il cappellano di Sollicciano, don Vincenzo Russo, e in particolare proprio del degrado della casa circondariale fiorentina.
“Sollicciano aggrava la condizione delle persone in difficoltà – commenta – La morte di questo giovane uomo è un drammatico richiamo alle responsabilità di tutti, le condizioni del carcere sono invivibili e non possiamo continuare a essere spettatori passivi di questo scempio e di queste morti. Lui aveva una sua sofferenza interiore molto forte e la detenzione ha fatto il resto. Ci sono tante persone in condizioni analoghe, che hanno crisi, compiono gesti di autolesionismo”.
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