“Correttezza, imparzialità, cortesia e una condotta irreprensibile, tanto da riscuotere la stima, la fiducia e il rispetto della collettività”. C’è un apposito articolo del regolamento della polizia che impone agli agenti come comportarsi, sia in servizio che al di fuori. Ed è quello che veniva contestato di aver violato a un vicesovrintendente, responsabile di turno dell’ufficio ricezione denunce della Questura di Torino, sanzionato a livello disciplinare per aver “allontanato in malo modo” una donna che voleva denunciare il figlio per i suoi atteggiamenti minacciosi e aggressivi contro famigliari e amici.
Il poliziotto, con una lunga carriera alle spalle, l’aveva mandata via e l’aveva invitata a chiamare il 112 in caso di pericolo concreto. Lei non era riuscita a dare una spiegazione sommaria dei fatti, lamentava una situazione “in termini abbastanza oscuri”, e si era rifiutata di dare le generalità del figlio che voleva denunciare.
Poco dopo però, una volante era intervenuta in via Massena: il figlio della donna si era reso protagonista di un’estorsione. La madre a quel punto si era lamentata con gli agenti “per il mancato intervento, e comunque ormai tardivo, nei confronti del proprio figlio, soggetto pericoloso, tossicodipendente e con problemi psichiatrici”: un commissario capo l’aveva calmata e aveva quindi raccolto la sua denuncia per maltrattamenti ed estorsioni ripetute.
Un episodio che aveva portato il questore a emettere un richiamo scritto come sanzione disciplinare al vicesovrintendente della Questura che non aveva preso in precedenza la querela della donna. La sanzione riconosceva che lei era stata poco collaborativa e si trovava in uno stato di agitazione, visto che anche il commissario capo aveva messo a verbale che lei era “particolarmente alterata e ostile”. Tuttavia lui era riuscito a farla collaborare, mentre l’altro poliziotto, più “scortese”, no. Da qui veniva incolpato, e punito: per aver agito con “una certa superficialità e negligenza”.
Ma il vicesovrintendente ha fatto ricorso al Tar e l’ha vinto: secondo i giudici amministrativi non era affatto tenuto a calmare la cittadina. “E’ evidente che all’incolpato è stato attribuito un comportamento effettivamente non consono con i doveri di un appartenente alla polizia di Stato, ma gli è stata infine attribuita la responsabilità di un’omissione, ossia l’incapacità di riportare alla calma la denunciante”. C’è stata “una divergenza tra la contestazione di averla bruscamente allontanata dagli uffici pubblici e la sanzione che si è basata sull’incapacità di portare la donna alla ragione, compito poi ottenuto dal commissario”.
Per il Tar è “indiscutibile” che gli sia stata contestata una “violazione dei doveri di comportamento di un agente”, tuttavia “il non aver saputo calmare una persona in grave stato di shock emotivo è un fatto diverso e non rientra nemmeno nei doveri di un sovrintendente della polizia di Stato”.
A favore del ricorrente, ha giocato anche il fatto che poco prima di essere sanzionato era stato emesso un giudizio, nella sua valutazione professionale, di “ottimo”: “è in possesso di eccellente cultura e preparazione professionale, costante nell’espletare i compiti assegnati, segnalandosi come punto di riferimento per il personale. E’ motivato e possiede un elevato senso morale e del dovere. Tutti i parametri confluiscono in un giudizio elevato” si diceva di lui. Quello che avvenuto poco dopo, insomma, è stato uno scivolone. Troppo poco, però, per macchiargli la carriera.