«La ripresa video di un’attività di servizio deve ritenersi parte integrante della relazione di servizio, dell’annotazione dell’attività compiuta ovvero dello specifico atto di polizia giudiziaria posto in essere. Da qui l’applicabilità della disciplina penalistica prevista a tutela del segreto».
Così il capo della polizia Vittorio Pisani nella circolare inviata a tutti gli uffici del Dipartimento di pubblica sicurezza nella quale ribadisce le regole per il corretto uso di supporti foto e video, e anche video, per il personale della polizia.
In particolare, il prefetto ricorda che «nei casi in cui sia necessario raccogliere la documentazione fotografica o audio-video di specifiche attività di polizia (come in occasione della commissione di reati o di turbamento dell’ordine pubblico), gli operatori possono utilizzare i dispositivi di ripresa privati (come gli smartphone) quando siano indisponibili gli strumenti in dotazione a ciò destinati (bodycam, videocamere) o gli operatori adibiti allo specifico servizio (la polizia scientifica), con la precisazione che a tali riprese devono ritenersi applicabili le prescritte norme penali e disciplinari».
Ma – aggiunge il capo della polizia – «in tali casi le riprese fotografiche e audio – video effettuate per finalità di polizia dovranno essere tempestivamente trasferite sul supporto di memoria digitale messo a disposizione dall’ufficio incaricato di conservare la documentazione probatoria e cancellate dal dispositivo personale».
Già nel 2019 l’allora direttore generale della Pubblica sicurezza Franco Gabrielli aveva emanato un provvedimento analogo che ricordava al personale della polizia il corretto uso delle piattaforme social e anche di messaggistica, rammentando che «l’immagine di poliziotto è prevalente (in ogni singolo operatore, ndr) rispetto a quella come privato cittadino», sia sul fronte del rispetto della dignità delle persone e di quella personale, sia anche per evitare di far diventare pubbliche informazioni che dovrebbero rimanere riservate come le generalità, le sedi di servizio e di residenza, le armi in dotazione e anche notizie sulla propria attività lavorativa in divisa.
Nel nuovo dispositivo, il prefetto Pisani sottolinea come «la recente diffusione attraverso canali social di riprese video e audio effettuate da operatori della polizia di Stato in occasione di interventi, rende necessario richiamare le linee di indirizzo concernenti l’utilizzo delle piattaforme digitali e dei social media da parte del personale di polizia», ricordando proprio la circolare di Gabrielli.
«Si rammenta – scrive ancora Pisani – che gli appartenenti alla polizia, in relazione alle delicate funzioni che sono chiamati ad assolvere, sono assoggettati a un particolare regime giuridico. Ciò impone nell’utilizzo delle piattaforme di messaggistica e dei social media una rigorosa disciplina comportamentale».
Il discorso ruota soprattutto sul dovere di «non rivelare a terzi informazioni e dati, né pubblicare notizie, immagini ovvero audio relativi ad attività di servizio che, anche se apparentemente insignificanti, possono arrecare nocumento all’efficacia dei servizi di polizia e, in generale, alla funzionalità dell’Amministrazione ovvero alla privacy di terze persone» e di «interagire nel web tenendo un comportamento sempre improntato al massimo rispetto dei principi costituzionali, delle libertà fondamentali, della dignità della persona e di non discriminazione, in modo da evitare che il contenuto delle esternazioni individuali, di qualunque tipo, anche non verbali, possa essere equivocato o addirittura travisato e comunque strumentalizzato, con conseguente nocumento all’immagine e imparzialità della Polizia di Stato».
Si tratta peraltro di «doveri la cui violazione comporta oltre all’applicazione di sanzioni disciplinari anche la configurabilità di responsabilità penali, correlate all’eventuale violazione delle disposizioni a presidio del segreto degli atti di indagine e del segreto d’ufficio».
Senza contare – conclude la circolare – che «la diffusione di fotografie o video che ritraggano persone (identificate o identificabili) coinvolte in interventi di polizia potrebbe dare luogo a un illecito trattamento di dati personali, con l’irrogazione da parte del Garante per la protezione dei dati personali di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del Dipartimento della pubblica sicurezza (come peraltro accaduto di recente) e la correlata responsabilità del personale dipendente per danno erariale.
L’illecito trattamento di dati personali potrebbe, infine, essere oggetto di azione risarcitoria sul piano civile».