“Gli arresti di 5 poliziotti della questura di Verona per presunti abusi, violenze, tortura, peculato, rifiuto ed omissione di atti di ufficio e falso ideologico in atto pubblico sono gravissimi e sono la spia di un fenomeno da non sottovalutare, vista anche la decina di agenti indagati e il trasferimento nelle settimane scorse di una ventina di agenti per rilievi di natura penale e disciplinare. Non si tratta quindi, come di solito si usa dire in questi casi, di ‘mele marce’ ma di un vero e proprio sistema di coperture per coprire responsabilità e allontanare sospetti”. Ad affermarlo è la senatrice Avs Ilaria Cucchi che ritiene “assolutamente necessario introdurre nella nostra normativa il codice identificativo per il personale delle forze di polizia e le bodycam da apporre sui caschi o sulle divise degli agenti con l’obiettivo di filmare, dall’inizio alla fine del servizio, le eventuali violazioni dei diritti che potrebbero verificarsi”.
Numero identificativo e bodycam
“Nel corso degli ultimi anni – riprende la senatrice – episodi di questo genere hanno riportato con forza nel dibattito politico le questioni connesse alla condotta delle forze di polizia e alla tutela dei diritti dei cittadini. Purtroppo gli abusi ci sono e si verificano sempre più spesso. Invece, la destra di governo pensa solo al ridimensionamento del reato di tortura sottovalutando il problema. Numero identificativo e bodycam – ribadisce Cucchi – sono un mezzo non solo per scoprire eventuali responsabilità ma soprattutto una tutela per le forze dell’ordine stesse. In Senato c’è depositato un mio disegno di legge su questo. Si parta da lì”.
Non si tolga il reato di tortura
“L’arresto dei 5 poliziotti è una notizia grave che ancora una volta ci pone di fronte all’urgenza di dotare il nostro paese di strumenti più efficienti nell’identificare ed isolare chi abusa della propria posizione nelle forze dell’ordine per agire al di fuori della legge”. Lo afferma Rachele Scarpa (Pd), che spiega: “Anche questo caso di Verona dimostra che la soluzione non è togliere il reato di tortura, come la premier Meloni pare intenzionata a fare, ma introdurre misure come un codice identificativo degli agenti o delle bodycam sempre accese, così come già fatto in altri paesi. Tanto più che queste sono misure che vanno a tutela prima di tutto della reputazione delle forze di polizia e della fiducia dei cittadini nei loro confronti. Presenterò un’interrogazione al ministro Piantedosi proprio su questo”.
La Russa: “Storia preoccupante”
“Sicuramente” quella di Verona “è una storia preoccupante perché se i magistrati, sia pure nella fase istruttoria, hanno ritenuto di avviare un procedimento penale addirittura privando della libertà dei poliziotti, sicuramente hanno degli elementi e questo preoccupa molto. Mi auguro per loro che il giudizio cancelli questa accusa. Auguro a loro di dimostrare la loro innocenza, ma se così non fosse è giusto che paghino duramente”, dice il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Tosi: “Prima accertare i fatti”
Flavio Tosi, deputato di Forza Italia e già sindaco di Verona, interviene sull’arresto ai domiciliari di cinque poliziotti della Questura di Verona. Stamattina Tosi ha avuto modo di parlare direttamente con il questore Roberto Massucci. “Prima di dare giudizi sulla vicenda – premette l’ex sindaco – credo sia giusto e corretto accertare definitivamente i fatti e le singole posizioni degli agenti. Ricordo che c’è ancora un’indagine in corso e già altre volte abbiamo visto persone arrestate e poi assolte o addirittura prosciolte prima del procedimento giudiziario. Sono un garantista”.
Martella: “La vicenda ci inquieta”
“La vicenda che vede al centro alcuni agenti, arrestati ci inquieta e ci lascia sgomenti”. Lo afferma il segretario regionale del Pd del Veneto, Andrea Martella. “Si tratta di accuse gravi su cui ci auguriamo che presto la giustizia faccia il suo corso – rileva -. E credo che per primi a chiedere questa chiarezza siano le donne e gli uomini che indossano questa divisa quotidianamente con onore e spirito di servizio. La Polizia di Stato appartiene al Paese e chi l’ha offesa è giusto che paghi per aver rotto innanzitutto il rapporto di fiducia con la comunità nazionale, considerato il delicato lavoro – conclude Martella – che svolge per la sicurezza di tutti noi”. repubblica.it