Polizia Penitenziaria | Il Ministero della Giustizia condannato a risarcire un milione di euro a poliziotto 44enne morto per le conseguenze del fumo passivo in carcere

Polizia Penitenziaria sentenza fumo passivo

La sentenza del Tribunale di Lecce per un procedimento promosso dal Sappe più di dieci anni fa

Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe per la Puglia, ne aveva fatto una questione personale.
Sin dal 2012 aveva preso contatto con la moglie di un collega deceduto l’anno prima per un tumore ai polmoni, Monda Salvatore Antonio, per offrirgli la disponibilità del sindacato a promuovere una causa civile contro l’amministrazione penitenziaria per il risarcimento del danno subito per la perdita del marito.
Il collega di Lecce, infatti, non aveva mai fumato ma era stato esposto per decenni al fumo passivo che si addensava nelle sezioni detentive.
Ebbene, a più di dieci anni di distanza, con una sentenza storica e senza precedenti, il Tribunale di Lecce ha riconosciuto le ragioni della vedova Manda condannando il Ministero della Giustizia ad un risarcimento di un milione di euro.

Le motivazioni della sentenza

Chiarissime ed inequivocabili le motivazioni della sentenza.
Come riporta il sito www.poliziapenitenziaria.it, nel dispositivo della sentenza il Giudice premette che “… sin da epoca remota vi era consapevolezza sociale e medico-scientifica degli esiti lesivi del bene salute etiologicamente riconducibili all’esposizione a fumo da combustione di sigaretta, come comprovano i plurimi interventi normativi varati dal Legislatore con il fine di garantire tutela ai soggetti esposti a detta fonte morbigena”

E, pertanto, nel verdetto si osserva che “… già in epoca antecedente al 2003 vi era la chiara consapevolezza circa la nocività del fumo derivante dalla combustione di sigarette, con la conseguente adozione e previsione di obblighi e divieti; di contro, per tutto il periodo durante il quale il Monda lavorò negli ambienti carcerari (dal 16.04.1991 al luglio 2011) e, in ogni caso, per il periodo dal 2003 (anno di entrata in vigore della L. n. 3/2003) al 2011 (epoca del decesso di lui), il Ministero convenuto omise di predisporre adeguate misure di prevenzione, di richiedere l’osservanza dell’obbligo di legge di non fumare e di sanzionare i trasgressori (siccome comprovato dalle risultanze della prova orale e documentale sopra riportate), in tal modo favorendo fattivamente l’insorgenza, la manifestazione clinica ed il decorso della patologia tumorale che portò al decesso del Monda, atteso che un significativo abbattimento dell’esposizione al fattore morbigeno avrebbe potuto comunque agire positivamente sui tempi di latenza o di insorgenza della malattia mortale, ovvero sul decorso clinico di quest’ultima, rallentando e/o posticipando l’exitus.”

La perizia del Consulente Tecnico d’Ufficio

A supporto del giudizio espresso c’è la perizia del consulente tecnico d’ufficio.
Infatti, dice il giudice “… dalla relazione del C.t.u. dott. Sandro Petrachi nominato in corso di giudizio (le cui indagini appaiono puntuali, esaustive e corrette e le cui conclusioni questo Giudicante ritiene di condividere, in quanto rigorosamente argomentate dal punto di vista tecnico-scientifico, logicamente motivate e fondate sulla letteratura medico-legale internazionale) si evince la sussistenza, con criterio probabilistico, del nesso causale tra l’esposizione lavorativa del Monda al fumo passivo sul luogo di lavoro e l’insorgere della neoplasia polmonare ed il successivo decesso, tenuto conto che il de cuius non era fumatore, dell’assenza di co-morbilità con efficacia etio-patogenetica tale da assurgere da sole ad elemento causale sufficiente e che, dunque, l’esposizione al fumo passivo, nelle condizioni poste, aveva inciso in maniera determinante; si evince altresì che la patologia neoplastica aveva ridotto l’aspettativa di vita del Monda, deceduto a 44 anni, che sarebbe stata di circa 82 anni.”
Ciò non di meno, “… A fronte di tanto, il Ministero convenuto (sul quale, in qualità di datore di lavoro, grava il relativo onere probatorio) non ha dimostrato in giudizio di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato in concreto tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.”

Le conclusioni del Magistrato

In conclusione, il Magistrato stabilisce che: “Può dunque ritenersi raggiunta la prova in ordine alla sussistenza tanto dell’elemento soggettivo (la colpa del Ministero) quanto dell’elemento oggettivo (evento e nesso causale tra condotta e malattia e successivo decesso del Monda), necessari al fine di ritenere la sussistenza della responsabilità dell’illecito in capo al convenuto.”
E quindi, viene inequivocabilmente riconosciuta la responsabilità del Ministero della Giustizia, in qualità di datore di lavoro, per non aver tutelato adeguatamente i poliziotti penitenziari dai danni derivanti dal fumo passivo del quale sono letteralmente invase le sezioni detentive.

La possibilità per tutti i poliziotti penitenziari non fumatori di agire in giudizio

E da questo riconoscimento di responsabilità non potrà che conseguire il diritto di tutti gli agenti della Polizia Penitenziaria, non fumatori, che hanno riportato un qualsiasi danno biologico all’apparato respiratorio e/o cardio-circolatorio, di chiedere un risarcimento e, comunque, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia patita.

Il rischio di ricorsi giudiziari anche dei detenuti non fumatori

E, addirittura, direi che non possono essere escluse possibili azioni giudiziarie anche da parte di detenuti non fumatori che potrebbero portare a conseguenze ancora più devastanti per il sistema penitenziario di quelle della famigerata sentenza Torreggiani.

Fonte: www.poliziapenitenziaria.it

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