Non è che non si prenda sul serio. È che in lui si fondono due anime «solo in apparenza» lontane. Nella vita professionale assistente capo della Polizia Scientifica esperto di dattiloscopia: l’analisi delle impronte digitali, quelle che raccontano le storie delle persone, precedenti, trascorsi giudiziari. Un esempio: c’è da dare un nome e un cognome a un cadavere?
Lui c’è, dietro le quinte della scena del crimine. Ma Davide Mazzotta, è anche clown, elfo, pagliaccio, all’occorrenza pure supereroe, Spiderman o Batman, se necessario. Tutto, pur di dare un sorriso ai più piccoli. I più sfortunati, da ultimi quelli del reparto di oncologia dell’ospedale di Pavia. «Ma sono stato un po’ ovunque, e se c’è bisogno cerco di accontentare chiunque, se le circostanze me lo permettono», racconta Mazzotta.
Nato a Taranto e cresciuto a Roma, oggi ha raggiunto i 54 anni, di cui 32 di servizio in vari reparti. Gli ultimi cinque alla Questura di Milano. Da 13 con questa «doppia vita»: clown e poliziotto. «Il mio lavoro non è così tanto diverso, in fondo, siamo al servizio delle persone, del cittadino. Quando mi maschero e vado nei reparti pediatrici, per me è un po’ la stessa cosa, mi sento utile. Quando vivo la vita con il sorriso tutto mi riesce meglio. Quando poi il mio sorriso ne genera altri, lì posso dire di essere felice; è un’apoteosi».
La svolta 13 anni fa. Davide Mazzotta vede per la prima volta «Patch Adams», il film con Robin Williams basato sulla vita di Hunter Doherty, il medico attivista fautore dell’importanza dell’umorismo e nel divertimento nei percorsi terapeutici. «L’ho visto un migliaio di volte, cinema, televisione dvd. L’ho conosciuto di persona, ho fatto due corsi con lui.
Quel film mi ha dato il coraggio di essere quello che sono senza il timore di essere preso in giro». Dopo dei trascorsi con il teatro amatoriale e come animatore per bambini, Mazzotta entra in contatto con Vip, l’associazione «viviamo in positivo», prima a Bari, poi in Lombardia. Con un’altra squadra di clown entra negli ospedali, nei reparti pediatrici. «Lì mi sento un altro rimanendo me stesso.
Avrei mille storie da raccontare, una volta, travestito da Uomo Ragno sono riuscito a prendere in braccio per un ora un piccolo che non aveva mai avuto contatti con nessuno, a parte medici e genitori. Ammetto di avere la sindrome da supereroe, dietro a un naso finto o alla divisa anche se, come mi disse una volta uno dei miei figli, “non tutti i supereroi hanno la maschera”». E allora, all’occorrenza si diventa anche personaggi dei fumetti anche dopo i 50, con un occhio alla forma fisica: «Ai bimbi non gliela fai, nessuno crede a Spiderman con la pancia».
Non è sempre gioia e sorrisi. L’importante è essere consapevole dei propri limiti: «Non bisogna illudersi da fare miracoli, ma anche quel poco che si può fare per gli altri è importante, vorrei che tutti lo facessero almeno una volta al mese». Viene da pensare a una fuga da un lavoro, quello del poliziotto, che mette gli operatori a contatto con altre amarezze della vita: «La definirei più una distrazione da altre vicende difficili, quelle degli adulti».
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