La parola chiave è perequazione. Ovvero la rivalutazione di 22,8 milioni di assegni previdenziali in base all’inflazione. Ci vorranno almeno 4 miliardi, visto che la Nadef prevede un tasso del costo della vita nel 2021 pari a 1,5%.
E soprattutto bisognerà scegliere il metodo per distribuirli, visto che quello del 2019 scade alla fine di quest’anno. Prima dell’Ape sociale e di qualunque altro tentativo di riforma, il governo Draghi deve affrontare il nodo della rivalutazione delle pensioni in essere.
Quanto aumenterà la pensione dipenderà dalla soluzione adottata per le rivalutazioni. Ma, spiega oggi Repubblica, su una pensione fino a 1.500 euro lordi al mese la somma sarà comunque di 126 euro lordi l’anno.
Il quotidiano racconta oggi che perequare, cioè adeguare le pensioni all’andamento del costo della vita significa tecnicamente applicare a tutte le pensioni – dirette, come vecchiaia e anticipata, e indirette, come quelle ai superstiti – l’indice Foi elaborato da Istat, ovvero la variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati tra 2021 e 2020.
[sc name=”pubblicit” ][/sc]L’ultimo dato di agosto era al +2,1%. Nei primi mesi del 2021 stavamo tra +0,2 e +0,7. Nel 2021 le pensioni non sono state rivalutate perché l’inflazione prevista in via provvisoria per il 2020 era negativa. L’anno scorso le pensioni sono aumentate dello 0,5. Nel 2022 l’impatto salirà.
E quindi l’entità dell’aumento nel cedolino – che avverrà non subito a gennaio, ma almeno da marzo-aprile con il recupero dell’arretrato – dipende dal metodo che il governo deciderà di seguire per la perequazione. Con gli “scaglioni Prodi” si va dai 126 euro medi in più all’anno per le pensioni fino a 1.500 euro lordi al mese – quelle 3 volte la pensione minima – ai 1.027 euro medi extra per gli assegni più importanti, cioè quelli nove volte sopra il minimo. Con il metodo varato dal governo Conte nel 2019 la variazione sarebbe da 126 a 484 euro annui.