Per i miracoli non siamo attrezzati, ma le competenze e il lavoro di squadra ci consentono di ottenere risultati eccellenti per il bene dei nostri pazienti»: lui ridimensiona la portata di quanto fatto, ma se non è il caso di scomodare i miracoli, è almeno quello di parlare di risultato straordinario. Il professor Franco Grego, direttore della Chirurgia vascolare dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, insieme alla sua équipe e agli altri specialisti dell’ospedale ha salvato la gamba al carabiniere che il 14 luglio scorso è stato travolto dall’auto di un uomo in fuga (poi freddato dal collega del militare).
Il vice brigadiere Marco Scuderi rischiava di perderla quella gamba, amputata da metà coscia in giù. Invece tornerà a camminare e, a distanza di due mesi da qual tragico giorno, la riabilitazione è già iniziata. Tutto è stato tranne che semplice, però, arrivare a questo risultato. In pochi, forse, ci avrebbero scommesso quando il militare è arrivato nel Pronto soccorso con la gamba maciullata dal ginocchio in giù. Ed è qui che entrano in campo le competenze che hanno fatto la differenza.
Dagli specialisti del Pronto soccorso che hanno “letto” immediatamente il caso, agli ortopedici e ai chirurghi che in una corsa contro il tempo sono intervenuti su quell’arto martoriato. Tre interventi nel giro di altrettanti giorni, per i quali si è rivelata essenziale la tecnologia delle sale operatorie ibride, inaugurate pochi mesi fa.
Il paziente è arrivato in Pronto soccorso con un grave trauma da schiacciamento alla gamba sinistra con frattura ossea in corrispondenza dell’articolazione del ginocchio e della tibia, la rottura dell’arteria poplitea e trauma delle masse muscolari del polpaccio: «Conseguenza di tutto ciò è una ricaduta sull’integrità del sistema venoso e arterioso: il sangue non arrivava più ai tessuti e quindi è partita l’ischemia acuta dell’arto» illustra il professor Grego, «se non c’è trauma il recupero è possibile anche entro 6 ore.
Se invece l’ischemia acuta è associata a un grave trauma come in questo caso, il limite orario per il recupero si riduce enormemente. Il paziente è stato quindi inviato subito in sala operatoria dove, una volta fissate le fratture dagli ortopedici guidati dal professor Antonio Berizzi, il collega chirurgo vascolare Piero Batocchio ha ricostruito l’arteria, primo intervento essenziale per scongiurare di perdere l’arto».
Un primo ostacolo è stato così superato, ma la corsa per salvare l’integrità della gamba non era finita. «Quando c’è la rivascolarizzazione dopo un’ischemia le masse muscolari vanno incontro a edema, gonfiandosi» rileva Grego, «da qui la necessità del secondo intervento di fasciotomia per decomprimere e liberare i muscoli. A questo punto abbiamo scongiurato il rischio di amputare la gamba, tuttavia il terzo giorno abbiamo riscontrato che non c’era vascolarizzazione sufficiente al piede».
«Bisognava salvare anche quello» sottolinea il professor Grego, «quindi siamo tornati in sala operatoria dove ho eseguito un intervento di bypass per portare il sangue dall’arteria femorale all’arteria tibiale inferiore, ricostruita con una fistola arterovenosa in modo da ridurre le resistenze e permettere al sangue di arrivare al piede. È stato un intervento molto lungo e complesso. Subito dopo il professor Michele Piazza è intervenuto con un trattamento endovascolare sulle arterie del piede, salvandolo».
Il rischio del grave danno ai reni causato dalla rivascolarizzazione è stato scongiurato grazie alle attenzioni dei medici della Terapia intensiva che hanno monitorato costantemente tutte le funzionalità del paziente, mentre per evitare le infezioni il carabiniere ha affrontato un mese di terapia iperbarica, nel Centro iperbarico di via Cornaro, e un intervento di chirurgia plastica per ricoprire le fasciotomie evitando il contatto con l’esterno.
Il carabiniere ha iniziato la riabilitazione
«Il paziente ha iniziato la riabilitazione» conferma Grego, «ora vediamo come sarà il recupero funzionale del piede, dove c’è la sensibilità ma non ancora la mobilità. Fra qualche mese capiremo se sarà il caso di intervenire sui nervi chirurgicamente».
Un ruolo determinante nel successo degli interventi lo ha avuto la sala operatoria ibrida: «La possibilità di avere in tempo reale arteriografie e angiografie senza spostare il paziente ci ha permesso di monitorare il prima, il durante e il post intervento con la massima efficacia» assicura Grego.
Nessun miracolo, insomma, ma un mix di ingredienti: «Ciò che ha fatto la differenza» conclude Grego, «è stata la capacità di intervenire tempestivamente, l’aver aggredito sotto tutti i punti di vista la situazione coprendo anche tutte le complicanze possibili, dalle infezioni all’edema e ai danni renali, la tecnologia e l’impegno massimo di tutti coloro che hanno contribuito dentro e fuori la sala operatoria, per un risultato che non è certo di uno ma di una squadra». fonte e foto: mattinopadova.gelocal.it