Un ergastolo, trentadue anni dopo.
Il gup di Palermo Alfredo Montalto ha condannato il boss Nino Madonia accusato del duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio: furono uccisi il 5 agosto 1989. Il processo si è svolto con rito abbreviato. L’ergastolo era stato chiesto dalla procura generale. Del duplice omicidio era imputato anche il boss Gaetano Scotto che, a differenza di Madonia, ha scelto il rito ordinario e quindi era in fase di udienza preliminare. Il gup lo ha rinviato a giudizio. Il processo a suo carico comincerà il 26 maggio 2021. Stessa decisione per il terzo imputato, Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. Il delitto è rimasto impunito per 32 anni.
Dopo una lunga indagine a carico di Madonia, Scotto e Rizzuto la procura di Palermo aveva chiesto l’archiviazione ritenendo che non ci fossero elementi idonei ad andare a processo. L’inchiesta è stata avocata dalla Procura generale che è giunta a conclusioni differenti e ha chiesto il rinvio a giudizio dei tre imputati. Madonia ha scelto l’abbreviato ed è stato condannato oggi all’ergastolo. La Pg aveva invocato la medesima pena. Scotto e Rizzuto, processati in ordinario, sono stati rinviati a giudizio.
Agostino, agente di polizia formalmente assegnato alle Volanti, collaborava con i Servizi Segreti alle indagini per la cattura dei grandi latitanti di mafia. Insieme a Emanuele Piazza, anche lui assassinato, Giovanni Aiello, morto d’infarto due anni fa, Guido Paolilli, agente di polizia e ad altri componenti allora di vertice dei Servizi di sicurezza, avrebbe fatto parte di una struttura di intelligence che teneva rapporti con alcuni esponenti di Cosa nostra. Rapporti, secondo l’accusa, opachi. Agostino avrebbe compreso le reali finalità della struttura a cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista per arrivare alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato), e avrebbe deciso di allontanarsene poco prima del matrimonio. Una scelta che, secondo gli inquirenti, ha pagato con la vita.
La Dia ha indagato sui rapporti tra esponenti delle istituzioni e i capimafia Madonia, boss di Resuttana, e Scotto, da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi di sicurezza, e sulla figura di Aiello, noto come “faccia da mostro“, un personaggio dalle mille ombre con legami con ambienti della eversione nera. Decisive le dichiarazioni dei pentiti Vito Galatolo, Francesco Marino Mannoia, Giovanni Brusca, Giuseppe Marchese, Francesco Onorato, ma anche di testimoni vicini ad Agostino, come colleghi e familiari.
Ulteriori conferme sono venute dalle intercettazioni telefoniche, che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura di cui la vittima faceva parte nei depistaggi di alcune indagini. Nel contesto della nuova inchiesta è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, soprannominato “Paolotto“, che nel 1989 era amico di Agostino e che la notte precedente al delitto aveva partecipato con la vittima ad una battuta di pesca. I due avevano dormito a casa di Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, Agostino sarebbe andato in ufficio, mentre Rizzuto sarebbe rimasto dalla famiglia dell’agente. Secondo gli inquirenti in più occasioni avrebbe mentito su quanto accaduto nel giorno e nel luogo del delitto.
Presente al bunker, come a ogni udienza, il padre del poliziotto, Vincenzo Agostino, con la sua lunga barba bianca. E la figlia Flora, sorella di Nino Agostino. “Oggi è un giorno di grande gioia per me… Mi dispiace solo che oggi non c’è mia moglie con me”, dice Agostino fa fatica a parlare. “Mi auguro che anche i mandanti possano essere condannati, mi auguro che gli esecutori parlino e dicano la verità così si toglierebbero un peso”. Per Agostino “questa sentenza è solo un inizio di verità, perché le stragi Palermo sono partite dall’omicidio di mio figlio”. E ricorda quando Giovanni Falcone “venne alla camera ardente a dire: ‘Io devo la mia vita a questi ragazzì“. Vincenzo Agostino si augura adesso, che a distanza di 32 anni, “qualcuno che conosce tutta la verità parli”. “Perché ci sono tre persone ancora in vita che possono parlare – dice – hanno un potere in Italia, comandano, mi auguro che emergano”. Ma alla richiesta dei nomi dice: “Non li posso fare, ma sono tre che ricoprono un ruolo istituzionale importantissimo. Loro possono sapere quello che ha lasciato scritto mio figlio, che hanno letto la lettera che era nell’armadio”.
L’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino, ricorda come sul caso si siano “visti depistaggi come davvero raramente si erano visti nella storia d’Italia. Fino alla distruzione perfino delle parole di Nino Agostino che prima di morire testimoniava per cui sarebbe stato ucciso. E i complici si sono adoperati di nascondere le prove che lo stesso Nino Agostino aveva precostituito”. Repici annuncia che al processo a carico del boss Gaetano Scotto e di Francesco Paolo Rizzuto “chiamerò a deporre” i rappresentanti di diverse istituzioni, tra cui “della Polizia di Stato, dell’Alto Commissariato antimafia e del Sisde”.
“A distanza di 31 anni dai fatti riteniamo nostro preciso dovere chiedere, sulla base delle numerose prove raccolte, nonostante i plurimi depistaggi, l’applicazione per Antonino Madonia del massimo della pena cui andrà applicata la diminuente propria del rito abbreviato, a cui vanno aggiunte pene accessorie e misura di sicurezza indicate nel massimo previsto”. Con queste parole il sostituto procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo (applicato per il processo) ed il sostituto Umberto De Giglio, avevano concluso a gennaio la lunga requisitoria. “Abbiamo provato – aveva detto – che la sera del 5 agosto 1989 Madonia ha troncato queste due giovani vite, ed anche una promessa di vita, insieme a tante speranze che si portavano dietro, sopprimendo, per lungo tempo, anche la verità. Madonia ha disposto ed attuato lucidamente la trama omicida, sia in relazione ad interessi propri (sui rapporti con i servizi, come sulla ricerca latitanti), sia in relazione ad interessi del capo di Cosa Nostra Salvatore Riina”. Secondo la Procura generale “l’omicidio di Agostino è stato centrale per Cosa nostra corleonese nella strategia di contrasto a chi, all’interno delle Polizie, cercava, anche a costo della sua vita, di condurre una lotta vera e senza quartiere a Cosa Nostra, al suo strapotere, alla sua violenza. Un duplice omicidio efferato – prova delle gravi collusioni che vi erano state (e che vi sono state anche dopo nei depistaggi) tra una parte di Cosa Nostra e una parte della nostra intelligence, che teorizzava e praticava pericolosissimi rapporti con esponenti di Cosa Nostra”. Un delitto che, per la Procura generale, è stato compiuto con Gaetano Scotto ed altri per i quali “allo stato non vi sono prove sufficienti, o che non sono stati ancora identificati”. Ma perché venne ucciso il poliziotto Nino Agostino? Gli investigatori parla di una “doppia causale” del delitto: “La prima fu che Agostino era dedito alla ricerca di latitanti nello stesso periodo nel quale Salvatore Riina e i Madonia avevano scatenato una vera propria caccia ai cercatori di latitanti, impegnandosi per la loro sistematica eliminazione”. Nel corso delle indagini è emerso che “l’agente Agostino effettuava indagini sulla cattura latitanti, che andavano ben oltre i suoi compiti di istituto all’interno del Commissariato San Lorenzo”.
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