Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello de L’Aquila ricorreva “per saltum” avverso una sentenza con la quale il Tribunale di L’Aquila in composizione monocratica aveva assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 341-bis c.p. per insussistenza del fatto.
In particolare, il Procuratore Generale ricorrente deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione all’art. 341-bis c.p. perché era stato escluso il reato di oltraggio in quanto commesso all’interno di una struttura penitenziaria riservata ai detenuti in regime di 41 bis 0.P. e, quindi, in un luogo che non poteva essere ritenuto pubblico o aperto al pubblico trattandosi, secondo il procuratore ricorrente, di una interpretazione erronea contraddetta dalla giurisprudenza di legittimità che ammette che anche l’istituto penitenziario, pur non essendo un luogo di libero all’accesso a tutti, è comunque un luogo aperto ad una moltitudine di soggetti, oltre ai detenuti anche al personale penitenziario, e quindi aperto ad un numero di persone indeterminato che convivono nella struttura.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione.
Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.
Si faceva prima di tutto presente come, nella sentenza impugnata, senza ulteriori valutazioni in merito alla integrazione degli altri elementi richiesti per l’integrazione della fattispecie di reato prevista dall’art. 341- bis c.p., fosse stata esclusa a priori la configurabilità del predetto reato sulla base dell’errato convincimento che l’ambiente penitenziario non possa essere ritenuto luogo aperto al pubblico.
Invece, secondo il costante orientamento, formatosi nella giurisprudenza di legittimità con riguardo a diverse figure di reato (atti osceni, porto e detenzione illegali d’arma), e più specificamente anche con riguardo al delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, nella nozione di luogo aperto al pubblico rientrano, invece, anche la cella e gli ambienti penitenziari essendo stato osservato che assume rilievo centrale ai fini della qualificazione dell’ambiente penitenziario come luogo aperto al pubblico la destinazione alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi essendo, invece, irrilevante che l’accesso
dei detenuti sia coattivo e volto a soddisfare un interesse pubblico (Sez. 6, n. 26028 del 15/05/2018).
La sentenza impugnata veniva, pertanto, annullata con rinvio per nuovo giudizio che andava disposto alla Corte di Appello de L’Aquila ai sensi dell’art. 569 c.p.p., comma 4, trattandosi di ricorso immediato per Cassazione (cd. ricorso “per saltum”).
In conclusione
Nella sentenza in questione viene chiarito che il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale è configurabile anche quando tale condotta criminosa venga compiuta in un ambiente penitenziario dal momento, secondo un costante orientamento nomofilattico, nella nozione di luogo aperto al pubblico rientrano anche la cella e gli ambienti penitenziari dato che assume rilievo centrale, ai fini della qualificazione dell’ambiente penitenziario come luogo aperto al pubblico, la destinazione alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi essendo, invece, irrilevante che l’accesso dei detenuti sia coattivo e volto a soddisfare un interesse pubblico.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione di tal genere essendo sconsigliabile, perlomeno alla luce di tale approdo ermeneutico, intraprendere una linea difensiva che sostenga l’insussistenza di questo illecito penale solo perché il fatto è avvenuto in un contesto carcerario.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, quindi, non può che essere positivo.