Nel sesso orale non c’è e non può esserci costrizione e quindi non si può contestare l’accusa di violenza sessuale. Lo afferma la sentenza del tribunale di Livorno che ha assolto il maresciallo dei carabinieri F. D., ex comandante del nucleo dell’ispettorato del lavoro di Livorno, dall’accusa di stupro, concussione, tentata concussione e falso. I fatti risalgono a un periodo che va dal 2014 al 2016. F. D. secondo l’accusa aveva messo in atto «ricatti sessuali» sfruttando il proprio ruolo. In cambio di prestazioni avrebbe promesso o fatto intendere alle titolari di alcuni esercizi commerciali della provincia toscana che non avrebbe contestato le irregolarità emerse durante i controlli.
Nel terzo capo d’imputazione il militare doveva rispondere all’accusa di concussione per costrizione, poi riformulata in induzione, e di stupro. La vicenda specifica era il rapporto tra il militare e la dipendente, che poi è diventata titolare, di un centro massaggi. Secondo quanto racconta il Tirreno i due avrebbero avuto rapporti sessuali completi e lei il 17 marzo 2017 durante l’incidente probatorio aveva raccontato al giudice di essersi sentita costretta a dire di sì perché davanti aveva «un pezzo grosso», mentre lui le aveva detto che «erano amici e non doveva pagare nulla». Il giudice ha scritto nelle motivazioni della sentenza che l’attendibilità della presunta parte offesa era debole perché, si legge, «ben potrebbe l’esaminata aver rivenduto la propria relazione con l’imputato con spirito vendicativo, essendo in corso di verifica l’accusa (si parla di un altro fascicolo quando la donna è stata ascoltata ndr) nei suoi confronti di sfruttamento della prostituzione. E potendo ritenere collegabili le indagini a una iniziativa del Carabiniere».
A ulteriore riprova della scarsa attendibilità della presunta vittima di stupro c’era anche il fatto «che la donna non descrive affatto comportamenti violenti da parte dell’imputato». «Solo in un caso ricorda che per convincerla a una prestazione orale, le avrebbe avvicinato con forza la testa alle proprie parti intime, ma, ribadito che anzitutto non è in alcun modo specificato in quali concreti termini sia stata compiuta questa violenza, è ben chiaro che il gesto in sé non può comportare una coazione della continuazione del rapporto, che necessita, per le stesse modalità del tipo di rapporto sessuale, di una piena partecipazione attiva della donna», afferma la sentenza.
E aggiunge: «La donna – scrive la giudice – racconta che in un caso sarebbero avvenuti dopo che le sarebbero stati tolti i vestiti con violenza, e anche rispetto a questo racconto da un lato neppure descrive in quali termini si sarebbe espressa la modalità violenta di togliere i vestiti. Dall’altro è anche qui da evidenziare che togliere i vestiti non comporta necessariamente passare al rapporto sessuale». «Questi due passaggi della motivazione – spiega l’avvocato che assiste la donna e sta preparando l’appello – sono effettivamente pericolosissimi perché si rischia di riportare la giurisprudenza sulle violenze sessuali alla preistoria. Al ratto, dove per dimostrare la violenza è necessario il rapimento e un rapporto completo con la forza, tralasciando completamente l’aspetto psicologico». Il Carabiniere è stato assolto da ogni accusa il 14 aprile scorso, quasi quattro anni dopo aver ricevuto il primo avviso di garanzia sulla vicenda.