“Cieli blu” è la frase con cui migliaia di paracadutisti italiani hanno dato l’addio ieri sera sui Social al generale di Corpo d’Armata Franco Monticone, celebre e amatissimo comandante della Brigata Folgore, scomparso poche ore fa al Celio dove era ricoverato da domenica in gravi condizioni, come ha annunciato la figlia Erika.
“Questa sera il Generale di Corpo d’Armata, Franco Monticone, circondato dalla moglie Maria Grazia, i figli Erika, Erwin e gli affetti più cari, è andato avanti, tornando alla casa del Padre. A breve comunicheremo data e luogo delle esequie alla grande famiglia dei Paracadutisti e degli Incursori”, si legge in un messaggio della famiglia sul portale dell’Anie, l’Associazione Incursori Esercito.
“Un grande comandante del Col Moschin, l’uomo che lo ha fatto diventare la realtà che è poi diventato adesso – lo ricorda il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e del 9º Col Moschin. – Un paracadutista vero, uno che ha sempre aiutato i propri collaboratori, mai chiamati dipendenti”.
“Si sapeva proporre come amico, anche se era un comandante inflessibile, molto esigente”, aggiunge Bertolini, oggi Responsabile del Dipartimento Difesa di Fratelli d’Italia.
Nato ad Asti nel 1940, figlio di un militare – il padre era un sottufficiale della Marina – il generale Franco Monticone è stato un vero e proprio innovatore per le Forze Armate italiane in generale e per le Forze Speciali e la Brigata Paracadutisti Folgore in particolare fin da quando, dopo aver superato brillantemente, nel 1960, il corso all’Accademia Militare di Modena, venne assegnato al Battaglione sperimentale Alpini “Aosta” per l’impiego di un nuovo tipo di armamento.
Da lì, poi, acquisiti diversi brevetti viene trasferito al 1º Reggimento Paracadutisti a Livorno e, quindi, giunge al Battaglione Sabotatori che diverrà, in seguito, il 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin.
Dopo essere transitato nel Comando Brigata della Folgore e nello Stato Maggiore Esercito, nel 1978, mentre l’Italia è travolta dal terrorismo, Monticone assume il comando del 9º Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” e crea una delle prime Unis, le Unità antiterrorismo dotate di personale per il pronto impiego h24 in situazioni di crisi e in presenza di ostaggi.
Divenuto comandante della Brigata Paracadutisti “Folgore”, con il grado di Generale di Brigata, dal 1991 al 1998, si è molto impegnato al miglioramento della sicurezza del paracadute Irvin 80B riuscendo, alla fine, ad ottenere che non vi fossero più incidenti frequenti.
Come comandante della Fir, la Forza d’intervento rapido, Monticone può essere considerato il padre del Reggimento Ranger e del 185° RAO, il Reggimento Acquisizione Obiettivi, due strumenti nati proprio dalla sua intuizione e dalla sua straordinaria visione.
La prima volta che vidi Monticone era il 1980, durante un addestramento congiunto delle Forze Speciali e dei paracadutisti della Brigata Folgore, di cui al tempo facevo parte, nell’ambito dell’Operazione Aquila ‘80.
All’epoca comandava il 9º Col Moschin, erede dell’eroico X Arditi, ed era già un mito non solo fra i suoi incursori ma anche e soprattutto, fra i giovani paracadutisti delle Brigata Folgore che, anni dopo, avrebbe comandato.
Lo rincontrai anni dopo in Calabria dove era stato mandato per risolvere in maniera radicale, con piglio militare, il fenomeno dei continui sequestri di persona.
Ricordo che, mentre in elicottero sorvolavamo a bassa quota i boschi apparentemente impenetrabili e fittissimi dell’Aspromonte, mi spiegò, con un sorprendente approccio manageriale, come stava procedendo, applicando quella che era la sua vastissima esperienza operativa in ambienti ben più ostili di quelle forre, per scovare i ripari, scavati nel terreno e coperti di lamiere, dove venivano tenuti per mesi gli ostaggi, spostati, quando era necessario, con velocità impressionante.
Monticone aveva creato un vero e proprio database georefereziato dell’Aspromonte, che aggiornava di continuo grazie alle informazioni precisissime e quotidiane che gli facevano avere i suoi incursori infiltrati in cellule di 3-4 persone: un elicottero li portava in un determinato punto e li lasciava li. Per tre-quattro giorni diventavano invisibili, un tutt’uno con l’ambiente che rastrellavano con precisione millimetrica riportando poi sul database tutto ciò che avevano trovato e che non assomigliava a un albero: cicche, legni bruciati o spezzati, pezzi di lamiera, oggetti di uso quotidiano, qualsiasi cosa che facesse presupporre che c’era stato uno scampolo di vita li, il passaggio di un ostaggio e dei suoi sequestratori.
L’intuizione di Monticone di applicare un metodo militare-investigativo al problema dei sequestri fece, alla fine, vincere lo Stato.
Ci ritrovammo molti anni dopo – era il 1991 – nel Kurdistan iracheno: io ero lì come reporter per seguire le operazioni delle Forze Speciali del 9º Col Moschin, Monticone comandava il Contingente ItalPar, la componente operativa, parte di un più ampio contingente internazionale, schierata nel nord dell’Iraq nell’ambito dell’Operazione Provide Comfort che aveva l’obiettivo di difendere e portare aiuti umanitari ai curdi in fuga durante la Guerra del Golfo.
Era passato qualche anno da quando l’avevo visto per la prima volta ma due cose erano rimaste immutate così come le avevo impresse: il suo sguardo che lasciava trasparire fermezza e che non ammetteva repliche e il grande rispetto che gli tributavano i suoi ragazzi riconoscendogli un carisma assolutamente fuori dal comune.
“È stato mio comandante in buona parte della mia vita militare. Per me una grandissima perdita affettiva, grande uomo, comandante, grande carisma, gli aggettivi si sprecano per un uomo così – lo ricorda parlando con l’Adnkronos, il generale Raffaele Iubini che, insieme a Monticone, ha vestito la divisa del 9º Col Moschin. – È arrivato alla fine, e immagino dispiaccia a tutti. Amato dai subordinati, dai sottoufficiali e dagli ufficiali, dalla truppa. È difficile trovare un uomo che avesse grandezza come essere umano e che fosse un magnete come lui per gli affetti.
Una persona fuori dal comune. Mi resta l’insegnamento che mi ha dato, non solo di cose professionali ma anche delle cose della vita. Porto con me un bellissimo ricordo, è stato uno dei più grandi comandanti che io abbia mai avuto”.
Cieli blu, comandante Monticone.
fonte:www.secoloditalia.it