Arafet Arfaoui, 32enne marocchino, morì il 17 gennaio del 2019 durante un fermo di polizia in un money transfer di Empoli, dove si era recato per inviare del denaro. Gli agenti furono chiamati dal titolare dell’attività, dopo che il 32enne era andato in escandescenze per il rifiuto dello stesso titolare di accettare del denaro che riteneva falso.
Poi, durante il fermo a terra degli agenti, la morte del 32enne. Inutile l’intervento dei sanitari, chiamati dagli stessi agenti. Il caso fece scalpore perché ricordava da vicino quello di Riccardo Magherini. Sul caso partì un indagine per omicidio colposo che vedeva indagati cinque poliziotti e due operatrici sanitarie. Nei giorni scorsi, come ha riportato mercoledì 25 maggio La Nazione, il gip Gianluca Mancuso ha definitivamente archiviato l’indagine e la posizione dei poliziotti e delle operatrici sanitarie.
A seguito delle perizie effettuate, il decesso è da attribuire, le parole del gip riportate da La Nazione, ad “un arresto cardiaco provocato proprio dal combinarsi dei fattori di rischio”, quali la “ingestione combinata di cocaina e alcol e stress psico-sociale”. Da qui, l’archiviazione della posizione degli indagati.
“L’assenza del nesso causale rende superfluo indagare eventuali profili di colpa nell’operato del personale di polizia, essendo a questo punto irrilevante il fatto che gli agenti abbiano tenuto Arfaoui in posizione prona piuttosto che di fianco come raccomandano i manuali operativi in uso alle forze di polizia”, scrive il giudice nell’ordinanza di archiviazione, come riporta ancora La Nazione.
Emerse anche che il 32enne poi deceduto durante il fermo aveva i polsi ammanettati e i piedi legati con fascette in velcro. “Le ulteriori indagini hanno permesso di accertare che gli operanti erano abilitati al loro utilizzo”, scrive il giudice.
Quanto ai sanitari, l’intervento sarebbe ritardato per l’attesa che ci fossero condizioni di sicurezza in cui agire, ma, scrive ancora il giudice, ancora riportato da La Nazione, “non vi è alcuna evidenza che permetta di compiere il cosidetto giudizio controfattuale, e quindi di ritenere con elevato grado di probabilità scientifica che in presenza dell’immediato intervento dei sanitari l’uomo non sarebbe morto”.
Dopo l’archiviazione, ad Empoli sono comparsi degli striscioni con su scritto: ‘Chi non nasconde non archivia, nessuna giustizia nessuna tregua’, firmato dal Coordinamento Empoli per Arafet, e ‘Sappiamo chi è Stato, anche se avete archiviato’. La foto degli striscioni, che vedete sopra, è stata diffusa dal sindacato di polizia Siulp, che parla di “atto gravissimo”.
Caso Arafet, il Siulp sugli striscioni ad Empoli: “Gravissimo”
“Gli striscioni appesi nel centro cittadino di Empoli rappresentano un atto gravissimo di chi, ritenendo di potersi collocare al di sopra della legge, violandola si prende il lusso di ergersi al ruolo di giudice. Le chiare minacce all’indirizzo degli operatori della Polizia di Stato non possono e non devono rimanere impunite e sicuramente non faranno fare un passo indietro a chi, tutti i giorni, opera nell’interesse dell’ordine e della sicurezza pubbliche”, si legge in una nota firmata dal segretario generale del Siulp Firenze Riccardo Ficozzi.
“Operatori di Polizia che, lo ha stabilito un procedimento giudiziario, hanno esclusivamente svolto il proprio lavoro e, nel mentre, si sono trovati dinanzi alla triste circostanza che ha visto un giovane perdere la vita per condizioni in nessuna maniera attribuibili agli stessi, hanno già subito per oltre 3 anni il peso di un procedimento penale che li vedeva coinvolti pur non avendo alcuna responsabilità ed oggi non possono e non devono essere ostaggio di “minacce”, neanche troppo velate, da parte di chi, vigliaccamente, affida ad uno striscione il proprio pressoché dichiarato desiderio di vendetta. Il Siulp Fiorentino – si legge ancora – vicino agli operatori e sin da subito certo della loro totale estraneità all’accaduto, auspica in una corale presa di distanza da tale fatto che, innegabilmente, rappresenta un disconoscimento delle Istituzioni dello Stato e che, quindi, non deve rimanere impunito”.