In questi ultimi giorni abbiamo assistito al confronto tra il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, e le esigenze non più procrastinabili di un vero sindacato per i Cittadini Militari, privati per 70 anni di questi specifici diritti e che continuano ad esserlo per “merito” di una legge, la 46 del 2022, che deprime e depaupera la legittime aspirazioni per una reale rappresentatività sindacale che consenta veramente la salvaguardia delle protezioni sociali a quegli Italiani che difendono quotidianamente gli stessi diritti ai loro connazionali.
Il dibattito è nato da una interrogazione parlamentare dell’onorevole Pisani (Noi Moderati) circa diversi procedimenti disciplinari instaurati da un dirigente dell’Arma dei Carabinieri nei confronti del segretario generale del Nuovo Sindacato Carabinieri (NSC), Massimiliano Zetti, per attività sindacali svolte da quest’ultimo libero dal servizio e usufruendo di giorni di licenza (in assenza dei distacchi sindacali, altro argomento di cui parleremo più avanti).
Il Ministro della Difesa, nella sua risposta (scritta), fa un excursus sulla situazione delle sigle sindacali, specificando che nessuna di queste è rappresentativa (per mancanza dei decreti attuativi previsti dalla legge e del conseguente decreto specifico del Ministro delle Pubblica Amministrazione) e che nelle stesse sono ancora in itinere i processi per portare alla elezione delle cariche dirigenziali oltre che, sempre secondo il Ministro, non valgono le “guarentigie” previste dalla legge citata (articolo 14).
Nella parte finale ricorda che le questioni sono ancora sub judice e che, comunque, sarà esercitata una costante vigilanza per impedire qualsiasi violazione dei diritti sindacali e di quelli costituzionali di cui devono godere i cittadini in divisa (articolo 21 – libertà di manifestazione del pensiero).
Al di là della ovvia e continua interferenza in questioni puramente privatistiche che riguardano il mondo dell’associazionismo, sarebbe interessante conoscere le fonti e i documenti con i quali il Ministro certifica le situazioni interne dei 27 sindacati nonché il suo parere sulla differenza tra “rappresentatività sindacale” e “le azioni e/o l’operatività sindacale”. Dal momento che il sindacato è un organo propositivo, possiamo contribuire e assumerci la responsabilità di aiutarlo. È evidente che lo staff dello stato maggiore difesa non riesce ad uscire dalla sua visione e da un modello corporativista che continui il solco, senza troppe interferenze, di quello che è diventato nel tempo la loro creatura: “la rappresentanza militare”.
Sono ben note le posizioni anche di chi fa parte di quei particolari uffici che fungono da consulenza sugli iter legislativi che interessano i diritti dei Militari, nelle occasioni di incontro con altri dirigenti esprimono tranquillamente il loro parere negativo sulla necessità dei sindacati nelle forze armate. Ora non credo ci sia il bisogno di ricordare perché, storicamente, i sindacati e i Diritti dei Lavoratori hanno un posto di rilievo nella Carta Costituzionale per il ruolo fondamentale che ha il Lavoro come strumento di sviluppo e di progresso (anche contro le ingiustizie sociali e il fatto che da sempre questi diritti sono stati negati ai Cittadini in divisa).
Ma torniamo alla discussione scientifica: la “rappresentatività militare” ha lo scopo di quantificare chi ha il potere contrattuale di discutere e firmare i contratti di lavoro, secondo la certificazione che avverrà con il già citato decreto della p.a., mentre qualsiasi sindacato riconosciuto (iscrizione all’albo) può esercitare “le azioni sindacali” e “operare nel campo dei diritti, della sicurezza e del benessere dei Cittadini in divisa”; non c’è nessun bisogno di essere rappresentativi per fare sindacato.
Il problema principale consiste nell’aver traslato una legge che disciplinava la corporazione costituita dalla rappresentanza militare – che deve servire l’interesse del datore di lavoro – nella realtà sindacale che deve essere per forza una parte sociale terza per tutelare esclusivamente gli interessi dei Lavoratori in divisa.
Ripetendo per l’ennesima volta il concetto, sarebbe bastato dare le stesse regole per i sindacati delle Forze di Polizia civili attribuendo l’articolo 3 del DL 195/1995 alle Forze di Polizia a ordinamento militare, sulla semplice constatazione oggettiva che facciamo lo stesso identico lavoro e che trent’anni di sindacato hanno fatto della Polizia di Stato una istituzione democraticamente avanzata e funzionale agli interessi del Paese e della pubblica amministrazione.
È chiaro che le lobby militari non possono tollerare critiche sul loro operato né che possa essere messa in discussione il potere discrezionale con il quale trasformano i giudizi sulle condotte sindacali in procedimenti disciplinari che ledono la tranquillità nonché le possibilità di progressione delle carriere e delle aspirazioni delle parti che subiscono l’iter amministrativo.
È bene ricordare che non è solo il segretario Zetti a essere oggetto di queste “attenzioni” che, ci permetterà il Ministro Crosetto, sembrano essere quasi dei tentativi di “intimidazione” che fanno sorridere rispetto al lavoro che facciamo e che siamo abituati ad affrontare, tutti i giorni.
Per avere l’ennesima conferma di quanto fastidio provino i dirigenti militari, basterebbe, tra le altre, ricordare il regolamento da loro confezionato sulle commissioni di conciliazione previste dall’articolo 18 della 46/2022, dove hanno escluso la partecipazione dei sindacalisti in distacco, non comprendendo la necessità paritetica che deve esistere su qualsiasi tavolo inerenti discussioni sindacali. Anche qui sarebbe bastato vedere il modello della Polizia di Stato, invece di ricevere una valutazione negativa dal consiglio di stato.
Vogliamo altresì parlare dei distacchi sindacali, per i quali SMD si è inventato la formula dei 7 dirigenti per sigla senza neanche porsi la domanda sulla differenza quantitativa in termini di iscritti per ogni sindacato, numero noto alle FFAA?
Sette dirigenti, non modificabili e quindi con gravi ingerenze sulla necessità che può variare da un periodo all’altro e che dovrebbero usare quanto rimane della licenza straordinaria necessaria a eventuali malattie o a problemi familiari? Ma il calcolare e attribuire dei giorni totali commisurati al numero degli iscritti da usare liberamente da ciascuna sigla sindacale – che conosce le proprie esigenze – era così difficile? Anche qui continua, incessante, la visione unilateralista di scrivere le regole da soli quando sarebbe indispensabile il continuo coinvolgimento dell’altra parte.
Ci sarebbero altre criticità da approfondire, ma voglio fermarmi e domandare al Ministro della Difesa:
– se conosca tutti questi aspetti e li condivida,
altrimenti prima di organizzare forme di protesta civili e in ossequio alle leggi, ci piacerebbe conoscere il suo pensiero, visto il continuo ricorrere di tutte le parti politiche al concetto di “essere dalla parte delle forze dell’ordine” al quale non crediamo più, da ormai troppo tempo.
Roberto Di Stefano – segretario generale aggiunto del Nuovo Sindacato Carabinieri