Militare morto dopo la missione in Bosnia e il contatto con l’uranio impoverito: “riconosciuto vittima del dovere”

Non era neppure maggiorenne quando, nel maggio del 1969, si arruolò nell’esercito. Dopo aver prestato servizio in diverse zone d’Italia, dalla Sardegna al Piemonte, per poco più di cinque mesi – a cavallo tra il 2000 ed il 2001 – aveva deciso di partecipare alla missione Nato “Joint Force” durante il conflitto in Bosnia. Ed è lì che Giuseppe Soldano, primo maresciallo luogotenente, era entrato in contatto con armamenti ad uranio impoverito: il 12 marzo del 2006, ad appena 54 anni, era morto per un tumore, lasciando una moglie e tre figli. Adesso, dopo una lunga battaglia giudiziaria, il tribunale del Lavoro gli ha riconosciuto lo status di vittima del dovere.

“È una vittima del dovere”

La sentenza è stata emessa dal giudice Elvira Majolino che ha parzialmente accolto il ricorso di uno dei figli di Soldano, Oscar, difeso dall’avvocato Maria Rosa Marfia (nella foto), contro il ministero della Difesa. Nonostante il Tar (e poi anche il Cga) avesse riconosciuto sin dal 2012 che la patologia che aveva portato al decesso del militare palermitano fosse dipendente da una causa di servizio, finora il ministero si era sempre rifiutato di concedergli lo status di vittima del dovere “per intervenuta prescrizione” (così era stato affermato in un provvedimento del 2020).

“Al figlio non spetta alcun beneficio”

Il giudice ha però respinto l’altra parte della richiesta di Oscar Soldano relativa all’ottenimento dei benefici economici connessi al fatto che sia una famigliare di una vittima del dovere: la norma prevede infatti che questo non sia possibile quando è ancora in vita il/la coniuge della vittima stessa e i figli non siano a carico fiscale del defunto. Il ministero è stato così condannato a pagare solo un terzo delle spese di lite, quantificate in 1.500 euro. 

Proprio sul requisito del carico fiscale l’avvocato preannuncia l’appello, in quanto su questo punto esiste a livello normativo una disparità di trattamento tra i parenti di vittime del dovere e quelli di vittime di mafia o di terrorismo, per i quali non è invece previsto.

La missione in Bosnia, la malattia e il decesso

Giuseppe Soldano era stato in Bosnia Erzegovina tra il 30 novembre 2000 ed il 13 aprile 2001 e aveva l’incarico di addetto ai servizi aeroportuali nella città di Ploce. In sostanza riceveva, controllava e quindi distribuiva tutti i mezzi e i materiali sia italiani che di altre nazioni partecipanti alla missione, in entrata e in uscita, dovendo andare di persona nelle sedi dei vari reparti. Per questo era stato più volte a Mostar e a Sarajevo, attraversando quindi territori sottoposti a bombardamenti o zone di abbattimento.

Già durante la missione, precisamente tra il 6 e il 14 marzo del 2001, aveva fatto degli esami ed “erano stati riscontrati – come riporta il giudice nella sentenza – ‘valori anomali nella formula leucocitaria ed altri parametri'”, tanto che “dopo alcuni anni dal rientro dalla missione balcanica, ovvero nel dicembre 2004-gennaio 2005, all’esito di ulteriori controlli, gli era stato diagnosticato un ‘microcitoma polmonare già trattato con antiblastici'”. A marzo del 2006 Soldano era poi deceduto.

Gli armamenti ad uranio impoverito e la causa di servizio

La moglie del maresciallo si era quindi rivolta al Tar e nel 2012 e i giudici avevano riconosciuto la “dipendenza da causa di servizio dell’infermità sofferta da Giuseppe Soldano”, decisione poi confermata dal Cga nel 2013.

Come riporta il giudice del Lavoro, il Tar “ha accertato come nei predetti luoghi (in Bosnia Erzegovina, ndr) vi fossero elevati rischi per la salute dei militari impegnati, riconducibili al prolungato contatto con armamenti ad uranio impoverito, nonché per la carenza di speciali accorgimenti preventivi (al contrario, ad esempio, dei contingenti americani che avevano in dotazione tute appropriate) ed ha altresì preso atto dell’aumento del numero di patologie neoplastiche nei militari italiani, collegato al loro impiego nelle operazioni nei Balcani, come acclarato dalla II Commissione Mandelli”. Soltanto in seguito a queste sentenze, a luglio del 2014, il ministero della Difesa aveva finalmente riconosciuto che la patologia del maresciallo fosse stata provocata da una causa di servizio.

Il ministero della Difesa invoca la prescrizione

Nel 2019, il figlio del militare si era rivolto al sindacato Libera Rappresentanza dei Militari e aveva chiesto assistenza legale per ottenere i benefici previsti per i parenti di vittime del dovere. Un’istanza che il ministero, nel 2020, aveva rigettato “per intervenuta prescrizione”, ma anche perché al momento della morte del padre, la madre era viva e il figlio non era a carico del genitore deceduto. Un provvedimento che è stato appunto impugnato davanti alla sezione Lavoro del tribunale e che ora ha portato al riconoscimento dello status di vittima del dovere per Giuseppe Soldano.

Il giudice: “L’accertamento dello status non ha termini temporali”

Il giudice ha respinto l’ipotesi della prescrizione, rifacendosi ad una sentenza della Cassazione con cui è stato stabilito che “la condizione di vittima del dovere ha natura di status cui consegue l’imprescrittibilità dell’azione volta al suo accertamento, ma non dei benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto”. Per il tribunale del Lavoro “circostanze fattuali del tutto pacifiche consentono anzitutto di ritenere sussistente lo svolgimento da parte di Soldano, tra novembre 2000 e aprile 2001, di una vera e propria ‘missione’, autorizzata dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente, tenutasi al di fuori dei confini nazionali (Bosnia Erzegovina)” e “la presenza di armamenti ad uranio impoverito nell’ambito della succitata missione e l’assenza di dotazioni specifiche per i contingenti impiegati, fra cui Soldano, costituiscono delle circostanze di carattere certamente straordinario, che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi per la sua integrità fisica, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, fra le quali non era ragionevolmente contemplata la presenza di metalli pesanti nocivi, ovvero l’uranio impoverito”. Da qui il riconoscimento dello status di vittima del dovere per il maresciallo.

“Il figlio non era a carico del padre: non ha diritto a nulla”

Tuttavia, le norme non prevedono benefici per i figli che non siano a carico della vittima all’epoca del decesso se il coniuge è vivente “in coerenza con la finalità assistenziale delle provvidenze, dirette ad indennizzare i famigliari colpiti”. Oscar Soldano proprio nel periodo in cui il padre era morto non era effettivamente a suo carico fiscale, essendo in ferma breve nell’esercito, “sicché – conclude il giudice – deve escludersi l’accesso dell’odierno ricorrente ai benefici economici connessi allo status di vittima del dovere”. Today.it

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