Mensa troppo lontana, i poliziotti fanno ricorso al Tar e ottongono il buono pasto: “Tempi troppo ristretti, non devono essere costretti a trangugiare il pranzo”

A Firenze il traffico è un problema e le distanze della mensa dai luoghi di lavoro di un gruppo di poliziotti danno loro il diritto di avere il buono pasto fino ad oggi rifiutato dal Ministero.

Trentacinque poliziotti fiorentini (prestano servizio nelle caserme di via Zara, via della Casella, via del Visarno, piazza San Giovanni e piazza dei Ciompi) hanno vinto la loro battaglia contro il Viminale e otterranno non solo il diritto al buono pasto ma anche gli arretrati di cinque anni.

Il tutto grazie ad una accurata perizia della Polizia Municipale del capoluogo toscano. I vigili, incaricati dai giudici del Tribunale amministrativo, hanno stabilito, cronometro alla mano, che a meno di non servirsi di volanti e lampeggianti accesi (il che sarebbe evidentemente un abuso) gli agenti, con i mezzi pubblici, riuscirebbero a raggiungere le mense – di via Baldinucci, via Alamanni e via Mannelli- con appena il tempo di ingozzarsi e subito tornare alle loro sedi. Questo perché sono “impiegati in servizi esterni ed interni con turnazione di almeno sei ore articolata in orari che non consentirebbero loro di fruire delle mense convenzionate”.

Insomma, di certo non la situazione ideale per “garantire loro il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa” come stabiliscono le norme.Infatti, si legge in sentenza: “L’esito della verificazione, eseguita in termini particolarmente curati e puntuali, è stato, in sintesi, che solo in pochissimi casi si sono registrati tempi inferiori ai 30 minuti (e comunque sempre superiori ai 16/20 minuti con i mezzi pubblici)”.

I vigili hanno poi calcolato la durata di un pranzo standard:: “… considerando il tempo necessario per accedere ai carrelli (o preparare le pietanze per chi tona a casa) e per consumare il pasto, il rispetto dei tempi di rientro sarebbe impossibile o comunque molto difficoltoso. Dovendosi peraltro in tale valutazione tener conto che la pausa lavorativa, essendo preordinata al recupero fisico e psichico del dipendente, non può trasformarsi in una stressante rincorsa del tempo nella quale questi dovrebbe cronometrare gli spostamenti o trangugiare cibarie in tutta fretta nel costante timore di rientrare in ritardo”.

Ragion per cui il Tar ha decretato che: “Il diritto al buono pasto deve essere pertanto riconosciuto. E il Ministero dell’interno dovrà corrispondere ai ricorrenti una somma pari al valore di un buono per tutte quelle giornate lavorative del quinquennio precedente”.

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