L’escamotage era ingegnoso ed era studiato nei dettagli: un maresciallo della Marina militare e un sottoufficiale in congedo, manipolando i database, erano in grado di fare lievitare i compensi spettanti ai colleghi prossimi alla pensione, facendo impennare le cifre che l’Inps avrebbe dovuto pagare per decenni.
Ovviamente, non era un favore gratuito: il costo dell’intervento di F. R., capo del reparto trattamento pensionistico della Marina, e di D. P., andava dai 7mila ai 10mila euro.
Vere e proprie bustarelle, per l’accusa, che ora costano ai due militari e a 8 colleghi l’accusa di corruzione. Ma c’è di più.
Dopo l’arresto dei due militari, finiti ai domiciliari lo scorso novembre, i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno acquisito documentazione e individuato un centinaio di altri casi sospetti, sui quali stanno facendo verifiche.
Le cifre al centro dell’inchiesta, sottratte all’Inps, potrebbero quindi rivelarsi significative: considerando solo gli 8 beneficiari già finiti sotto inchiesta l’importo si aggirava intorno 50mila euro. Conto che, ora, potrebbe impennarsi e che non tiene conto dell somme da accreditare sul lungo periodo.
Il raggiro
Ma ecco i dettagli del raggiro scoperto dai finanzieri, coordinati dal pubblico ministero Carlo Villani. I fatti vanno dal 2015 al 2020. Oltre alla corruzione, i due militari sono accusati anche di truffa aggravata e, nel caso di F.R., di accesso abusivo ai sistemi informatici.
I clienti erano tutti colleghi prossimi al congedo, avvicinati dalla coppia e interessati alla possibilità di aumentare il proprio vitalizio. Se accettavano di pagare, scattava la truffa all’Inps: venivano trasmessi all’istituto di previdenza documenti contabili falsi nei quali risultava un imponibile complessivo diverso da quello reale.
L’importo veniva praticamente raddoppiato con diversi trucchi. Per esempio, gli stipendi erogati in lire venivano trasformati in pagamenti effettuati in euro, mantenendo la stessa cifra, senza tenere conto del valore di cambio. Un dato che incideva pesantemente sia sul trattamento pensionistico che sulle buone uscite.
Il sistema
Secondo il giudice che aveva disposto gli arresti domiciliari, come sottolineato dagli inquirenti, era stato messo in piedi «un collaudato sistema di frodi e corruzioni». Per scoprire il metodo sono state fondamentali le intercettazioni, dalle quali è emerso che la parte più difficile del lavoro era riscuotere il denaro.
«Mi ha fatto arrivare a Campagnano, in una zona deserta, con l’auto di servizio tutti mi guardavano», racconta il militare. E il collega: «Ti sei scordato che sono andato tre volte a Ladispoli, a Castel Madama». Ancora: «Lui non si muove perché deve seguire la figlia malata, cosa ci posso fare?». La replica: «Per carità di Dio, però quello lo abbiamo fatto tornare più volte con il pullman con la moglie con il tumore, te lo sei scordato?».
Nelle conversazioni captate, i frequenti riferimenti a «un caffè» da prendere con diversi conoscenti, per l’accusa, erano un modo per cercare di mascherare gli appuntamenti per pagare le presunte tangenti. Ma non è tutto. Secondo gli inquirenti, gli indagati si sarebbero anche «adoperati in più occasioni per sottrarre, occultare o distruggere la documentazione originale cartacea relativa ad alcuni militari».