COMUNICATO STAMPA
La decisione nasce dall’esigenza di garantire ai propri iscritti l’accesso a quei diritti solidaristici dedicati agli operatori della Guardia di Finanza di tutta Italia (come previsto dalla legge di riferimento n. 266/05, art. 1 commi 563 e 564 e dpr 243/06, nonché già a tutti gli altri operatori di polizia e altri dipendenti pubblici) deceduti o che abbiano subìto un’invalidità permanente in attività di servizio, o nell’espletamento delle funzioni di istituto, per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; in operazioni di soccorso; in attività di tutela della pubblica incolumità; in attività di prevenzione e di repressione dei reati.
“Tale passaggio è indispensabile – spiega Vincenzo Piscozzo, segretario generale Usif – per dare piena attuazione di quei diritti costituzionalmente protetti, nell’ottica di una piena e futura sindacalizzazione delle donne e degli uomini che vestono la gloriosa uniforme della Guardia di Finanza, impegnati quotidianamente nel complesso perimetro operativo affidato al Corpo, quale quello al contrasto all’evasione fiscale, alla corruzione, il controllo della spesa pubblica, la lotta alla criminalità, sia di matrice organizzata che comune, la tutela dei confini nazionali e la polizia marittima che, in sinergia con il datore di lavoro, garantirà i diritti dei lavoratori con le ‘stellette’”.
Già nel 2019, in audizione presso la Commissione Affari Costituzionali, USIF ha sottolineato l’importanza imprescindibile, per ogni ordinamento giuridico moderno, di predisporre ed adottare strumenti normativi a sostegno di coloro che, nell’adempimento del proprio dovere per la difesa della democrazia e la salvaguardia delle libere istituzioni, corrono rischi elevati e che, troppo spesso, si trovano nelle condizioni di dover sacrificare il bene supremo della vita: l’esistenza stessa.
La legge prevede che queste “vittime del dovere” ricevano particolari forme di sostegno economico, volte al risarcimento dei danni subiti, ma la sovrapposizione delle norme nel tempo ha causato una ingiustificata diversità di trattamento rispetto alle “vittime del terrorismo”. E’ triste dover evidenziare come, ad oggi, la medesima tipologia e classe di invalidità riportata da un rappresentante delle istituzioni dia diritto a trattamenti economici differenti a seconda se sia causata da atti terroristici (trattamento favorevole) o da “comuni” atti delinquenziali (trattamento sfavorevole).
Le normative che riguardano le vittime del dovere, le vittime del servizio e le vittime del terrorismo, sono estremamente eterogenee e frammentate: tutto ciò ha fatto sorgere innumerevoli contenziosi sia innanzi la magistratura ordinaria sia davanti quella amministrativa, nonché a quella di legittimità.
La poca chiarezza mal si adatta alla certezza del diritto e continua a produrre molteplici pronunce, spesso tra loro dissonanti, e altrettanto incerti indirizzi amministrativi in capo alle amministrazioni chiamate materialmente ad effettuare il riconoscimento dei benefici previsti per legge. Tutto ciò a discapito di chi versa già in una situazione di forte disagio.
La distinzione tra vittime del dovere, vittime del terrorismo e vittime dell’attività criminale organizzata, non è solamente questione terminologica e lessicale ma rappresenta soprattutto un problema di coerenza tra norme diverse, succedutesi negli anni, e che ancora oggi non hanno ottenuto una riorganizzazione complessiva, acuita non per ultimo dalla carenza delle necessarie coperture finanziarie di bilancio.
Lo comunica in una nota l’Unione Sindacale Italiana Finanzieri (USIF).