Dal 7 novembre 2019 la senatrice a vita ha la tutela. Marco: «Non abbiamo voluto farle vivere la nostra presenza come una limitazione». Antonio: «Non ero in servizio ma andai a sentirla nella Cittadella della Pace». Riccardo: «Ci include sempre, è straordinaria». Giovanni: «I suoi valori trasmessi ogni giorno»
«Non sono stata io a chiederla, mi è stata assegnata per le minacce che ricevevo e purtroppo continuo a ricevere, ma la mia scorta è diventata una splendida sorpresa. I carabinieri che ogni giorno mi sono accanto hanno più o meno l’età dei miei nipoti e siamo diventati un’affiatata famiglia allargata». Sono passati tre anni. Il 7 novembre 2019 fu il primo giorno in cui la senatrice a vita Liliana Segre uscì da casa fianco a fianco ai militari che ancora oggi tutelano la sua sicurezza.
Andò a visitare una mostra al Teatro alla Scala, poi passeggiò in Galleria Vittorio Emanuele II, nella sua Milano. Pioveva, ed era altrettanto cupo constatare che una donna allora ottantanovenne, superstite di Auschwitz, testimone instancabile davanti a migliaia di ragazzi, in centinaia di scuole, fosse costretta ad avere la scorta.
Tuttavia, nella gentilezza e cura di Marco, uno dei carabinieri con lei fin da quelle prime ore, e nella dolce fierezza della senatrice, si vedevano già i segni di un piccolo miracolo. Quello di chi svolge con serietà e orgoglio il suo servizio e di una donna che sempre riesce a trasformare il male in un bene più grande e condiviso. E così oggi, racconta Liliana Segre al Corriere della Sera, «posso dire che il rapporto con i miei carabinieri si è trasformato con naturalezza in amicizia e affetto. Alcuni sono con me dall’inizio, altri tra cui una ragazza, Lia, vicebrigadiere, si sono avvicendati. Ma tutti hanno sempre avuto un riguardo, un’attenzione e un’educazione che va oltre il lavoro. Uno stesso compito si può svolgere in mille modi, e loro lo fanno al meglio».
Dal punto di vista tecnico, il livello di protezione previsto per la senatrice è la tutela, ovvero la presenza dei carabinieri in ogni spostamento e uscita pubblica. Marco, 46 anni, luogotenente che viene dal Nucleo radiomobile, era appunto con lei già quel 7 novembre. Lui e Antonio, 41 anni, appuntato scelto qualifica speciale, membro del Nucleo investigativo, furono incaricati dal Comando provinciale di Milano di stare accanto alla senatrice insieme con due militari del Reparto scorte e sicurezza.
Uno di loro è Riccardo, 46 anni, appuntato scelto qualifica speciale, ancora oggi nella squadra che protegge Liliana Segre. «Quando ho ricevuto l’incarico — racconta Marco — l’ho vissuto come un grande onore, che richiedeva altrettanta responsabilità. Dovevamo tutelare la senatrice, la sua persona, ma anche il suo messaggio. Inoltre, volevamo rassicurarla ma non farle vivere la nostra presenza come una limitazione: non avrebbe dovuto sentirsi sotto scorta ma con la scorta».
E così è stato. «All’inizio — confessa Liliana Segre — ci rimasi male, mi dispiaceva sapere di essere colpita da tanto odio, non di rado proveniente da persone nascoste dietro l’anonimato online. Inoltre, capivo che la scorta era una protezione, ma sono molto indipendente, temevo per la mia autonomia. E in ogni caso non ebbi alternative, non scelsi io.
Per fortuna la presenza dei carabinieri si è presto trasformata in una ricchezza». Già quel primo giorno in Galleria, ricorda ancora Marco, «condivisi con la senatrice un pensiero sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa che, proprio quando era più sotto attacco, si mostrava in divisa in centro a Milano. Una rivendicazione di libertà, il messaggio che non si sarebbe arreso».
Se da un lato c’è la vicinanza delicata dei carabinieri verso Liliana Segre, dall’altro c’è lei che da subito li accoglie con generosa apertura. «Conoscono i miei figli e i miei nipoti — racconta —, spesso li coinvolgiamo nei nostri pranzi o incontri. A volte li ho anche trascinati a eventi o spettacoli che, data la differenza di età e di gusti, potevano risultare noiosi, ma sono sempre venuti con il sorriso». «Trascorrere ore preziose con lei è stata una fase meravigliosa della mia carriera, la senatrice si è sempre interessata a me come persona oltre che per il mio lavoro», dice a sua volta Antonio.
Così profondo il legame che il 9 ottobre 2020, quando Liliana Segre tiene l’ultima testimonianza pubblica nella Cittadella della pace di Rondine, nell’aretino, lui non è in servizio, eppure si prenota un albergo e parte per condividere quelle ore.
«Sentivo di doverci essere, sapevo che sarebbe stato un momento importante per lei e per chi l’avrebbe ascoltata, così sono andato insieme a mia moglie». Riccardo da tanti anni lavora nelle scorte, eppure riconosce che quella con Liliana Segre è «un’esperienza del tutto unica e particolare». Starle al fianco «è un privilegio — afferma —: il suo è un insegnamento che ti arriva in ogni momento. Lei è storia, è un simbolo per ciò che ha vissuto e per l’impegno con cui per anni lo ha raccontato. Ma è speciale anche perché ti rende sempre partecipe della sua vita. Ti include e si comporta con grande semplicità anche se è così straordinaria».
Lo conferma Giovanni, 37 anni, appuntato scelto del Reparto scorte. «I valori di cui la senatrice parla in pubblico, li trasmette anche nella quotidianità. È adorabile, ci fa il dono di un rapporto che va oltre il lavoro e diventa personale. Quest’estate ero con lei mentre è stata qualche giorno in montagna. Mi ha molto ringraziato, ma io le ho risposto che facevo il mio dovere. Comportarsi con attenzione e rispetto è il minimo davanti a una persona come lei».