Riempire di post i social è stata la prima cosa che ha fatto dopo aver lasciato il carcere. Ripreso in mano il cellulare, prima ancora di arrivare alla comunità in cui, su decisione del gip che l’aveva scarcerato, avrebbe dovuto iniziare un percorso educativo, il più piccolo dei sette ragazzi accusati dello stupro di una 19enne palermitana avvenuto a luglio, ha creato un nuovo profilo TikTok e ha ricominciato a scrivere.
Cosa avesse detto al giudice nell’interrogatorio di garanzia per convincerlo del suo ravvedimento, non si sa, ma le decine di frasi postate a poche ore dalla liberazione raccontano totale mancanza di scrupoli, arroganza e volgare compiacimento di sé.
I messagg
i«La galera è il riposo dei leoni», ha scritto l’indagato, diventato maggiorenne pochi giorni dopo gli abusi. E ancora «le cose belle si fanno con gli amici», chiara allusione alla violenza del branco. O, pavoneggiandosi per i messaggi ricevuti da diverse ragazze dopo l’arresto: «come farò a uscire con tutte?».
Gli screenshot con la bulimica presenza su TikTok del giovane sono finiti in una relazione destinata alla procura dei minori insieme alle chat trovate nel cellulare dell’indagato: messaggi che dimostrano che sapeva bene che la vittima non era consenziente. «Compare, l’ammazzammo, è svenuta più di una volta — diceva il giovane aggressore a un amico, il giorno dopo la violenza — Ci siamo divertiti».
Nuovo arresto
Per il pm ce ne è abbastanza per richiedere un nuovo arresto. E stavolta il gip, che giovedì ha firmato il secondo ordine di carcerazione, è d’accordo. «Abbiamo fatto un macello, lei si è sentita male ed è svenuta più volte», si legge in un altro messaggio. «Però è brutto così», risponde al minorenne l’interlocutore, molto impressionato dai racconti degli abusi.
«Macché, è troppo forte», replica il ragazzino dimostrando, a parere del giudice, che «lungi dall’avere iniziato un percorso di consapevolezza, ha continuato a usare il telefono per vantarsi delle sue gesta, cercare consenso sui social e manifestare adesione a comportamenti criminali».
Finto ravvedimentoAnche sul ravvedimento mostrato nel primo interrogatorio e, in qualche modo condiviso, come se fosse stato frutto di una strategia comune, dai sei complici ventenni, il gip ha un’opinione ben precisa: è stato solo un mezzo usato per uscire di prigione. «Anche se fosse solo rimasto in disparte a guardare, senza aiutare la ragazza, meriterebbe la galera.
Mi fa schifo», commenta un amico del violentatore. I due si conoscono dall’infanzia e le loro famiglie si frequentano da anni. «I genitori sono distrutti — fa sapere attraverso la voce della madre — Dicono di aver creato un mostro. Se lo avessi davanti lo prenderei a pugni».