La chiamata per un uomo ubriaco e armato di coltello in un sottopasso nella zona delle stazioni Varese, la pattuglia di rinforzo per aiutare i colleghi e la colluttazione che nasce per disarmare l’uomo, un cittadino marocchino armato di coltello.
Quel giorno di gennaio di due anni fa però secondo la Procura di Varese un agente della polizia di stato avrebbe agito nel frangente dell’ammanettamento in maniera non corretta, e oggi si trova a processo per abuso di autorità (nello specifico il reato è di “abuso di autorità contro arrestati o detenuti”) e lesioni personali. Nell’udienza di mercoledì primo di giugno è stato sentito l’imputato, un collega e altri testimoni tra cui un medico di pronto soccorso.
«Il mio cliente ha agito nell’unico modo possibile», ha spiegato uno dei due difensori dell’imputato, l’avvocato Monica Alberti, e anche lo stesso poliziotto in aula ha spiegato la particolare situazione in cui si venne a trovare: l’uomo venne ammanettato ad un polso ma nell’altra mano brandiva un coltello e per farlo arrendere è stata praticata una manovra di atterramento secondo le procedure.
Non è dell’avviso l’accusa che ipotizza l’uso eccessivo della forza per fermare la persona che brandiva l’arma bianca, fatto per il quale il marocchino ha patteggiato una pena. Oltre al soggetto fermato – ma non tecnicamente arrestato – al pronto soccorso di Varese arrivò anche il poliziotto oggi a giudizio, con prognosi di 20 giorni (contro i 5 dell’altro ferito, il marocchino).
Il 10 gennaio 2020, un giovedì, nel primo pomeriggio, furono diverse le chiamate di passanti atterriti al 112 per la presenza del soggetto pericoloso e sanguinante nel sottopasso di via Morosini a Varese. L’intervento delle Volanti fu rapido e il fatto destò tale allarme sociale da produrre polemiche anche in ambito politico amministrativo locale.
Il processo celebrato oggi nell’aula bunker del tribunale di Varese è alle battute finali e la sentenza è prevista per il mede di settembre.