Articolo de Ilgiornale.it che racconta il calvario dei poliziotti che finiscono nelle maglie della giustizia nell’espletamento del servizio.
Sono in prima linea a garantire l’ordine pubblico, si prendono sputi, insulti, botte, bombe carta e alla fine devono stare pure attenti a non finire nelle maglie della giustizia.
Già, perché sono sempre di più i poliziotti indagati nell’ambito di operazioni di servizio, controllo del territorio o contrasto alla criminalità organizzata.
Secondo un rapporto del sindacato di polizia Sap, di cui il Giornale è venuto a conoscenza in esclusiva, sono mediamente 60 gli agenti che, ogni anno, vedono il proprio lavoro messo in discussione dalla magistratura, costretti a difendersi e a dimostrare che la propria azione rientrava nell’alveo delle regole.
Indagati perché hanno svolto il proprio lavoro e per reati come falso ideologico; eccesso colposo di legittima difesa, lesioni o abuso d’ufficio (quest’ultimo cancellato quest’estate dal governo).
E sapete quanti di questi vengono poi assolti? Il 90%. Praticamente la totalità.
Nel frattempo, però, prima di vedere la parola fine al girone infernale della giustizia, a loro carico possono essere aperte procedure interne che magari bloccano la carriera, possono subire trasferimenti, nei casi più gravi vengono assegnati ad altri incarichi, con adeguamento salariale, o addirittura sospesi per il tempo in cui sono sotto indagine.
Senza considerare poi gogne mediatiche eventuali, spese legali e danni morali.
Agli agenti viene riconosciuto un anticipo minimo che, in caso di assoluzione, il poliziotto può utilizzare per sostenere i costi del procedimento, mentre in caso di condanna deve restituire.
Tuttavia, si tratta di una somma non sufficiente a coprire l’intero esborso necessario per sostenere un processo.
Solo per citare un caso emblematico e mai finito agli onori della cronaca, anni fa un agente è stato indagato perché, mentre fermava un cittadino straniero che prendeva a calci una proprietà pubblica, una donna gli si è avvicinata dandogli del “fascista”.
L’agente le ha chiesto i documenti per l’identificazione ma, non avendoli con sé e avendo fornito generalità parziali, come da protocollo è stata accompagnata per gli accertamenti di rito, tra cui le foto segnaletiche.
Morale della storia? La denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale nei confronti della donna è stata archiviata in un mese, il poliziotto è finito invece a processo per abuso d’ufficio e soltanto dopo cinque anni e 20mila euro di spese legali è riuscito a far mettere alla Cassazione la parola fine dopo che in primo grado era stato condannato a 10 mesi di reclusione, con pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
Per tornare ai giorni nostri e alle piazze che diventano teatro di violenza, basta ricordare che qualche settimana fa una decina di poliziotti è risultata indagata per gli scontri con alcuni studenti e manifestanti pro-Pal a Pisa.
Le accuse vanno dall’eccesso colposo di legittima difesa a lesioni lievi colpose. E c’è da scommettere che tutto finirà nel nulla.
Intanto però la spada di Damocle del fascicolo giudiziario è lì a incombere per tutto il tempo che la giustizia si prenderà.
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