Intervista del ministro Piantedosi al quotidiano Il Messaggero – di Mario Ajello
Ministro Piantedosi, che garanzie ha dato ai sindaci e ai titolari delle città metropolitane nell’incontro di ieri?
«Ho dato loro la principale delle rassicurazioni: non si perderà un euro di finanziamento per i progetti per le città e non si perderà nessuno di questi progetti. Il ministro Fitto ha svolto un lavoro straordinario e le opere da fare, i cantieri da aprire, la riqualificazione e il rilancio delle nostre città avranno risorse diverse da quelle del Pnrr ma, come ha detto anche il presidente Meloni, i finanziamenti verranno salvaguardati fino all’ultimo euro».
Ma perché questi 2,6 miliardi sono stati messi fuori dal Pnrr?
«Perché l’osservazione dei tempi di realizzazione delle opere, rispetto ai termini stringenti assegnati, rischiavano un definanziamento e non ci sarebbe stato più il tempo di intervenire. Un altro elemento è relativo alle compatibilità di alcuni progetti rispetto alle regole del Pnrr. Le faccio gli esempi degli stadi di Firenze e di Venezia. Quei progetti sono stati tolti preventivamente dalla commissione Ue, la quale in tal modo ci ha dato un alert sulla più generale compatibilità anche di altri progetti».
Dal punto di vista della sicurezza, però, rimandare il tema della riqualificazione delle periferie urbane non produce un gran problema per la vita dei cittadini?
«Sarebbe un problema se ci fosse un rinvio, ma il rinvio non c’è. Noi supporteremo i Comuni per una sollecita realizzazione dei progetti. Abbiamo solo voluto evitare un probabile, irrimediabile, definanziamento. E le dico di più: le procedure semplificate garantite dal Pnrr verranno assicurate con specifici interventi normativi anche con l’uso degli altri fondi».
Giorgia Meloni pensa a nuove misure su flussi migratori e flussi sbarchi. È così? E di che cosa si tratta?
«Contiamo, in generale, di fare un provvedimento entro settembre di rafforzamento del sistema della sicurezza con maggiori assunzioni e maggiori risorse finanziarie. Sul punto specifico dell’immigrazione: potenzieremo il sistema delle espulsioni soprattutto di persone che si sono rivelate pericolose; e metteremo risorse e procedure più veloci per la realizzazioni di CPR, i centri presso i quali vengono trattenuti gli irregolari da espellere.
Il Viminale si raccorderà con il ministero della Giustizia, per definire un testo che sottoporrà all’attenzione inter-ministeriale. Con l’obiettivo, appunto, di approvare entro settembre il nuovo decreto. Già abbiamo ottenuto nell’ultimo anno un incremento delle espulsioni del 30 per cento. Vogliamo elevare questa percentuale».
Non è che il decreto Cutro, visto il record di sbarchi e le tragedie che si ripetono come quella di Lampedusa, sta funzionando meno del previsto?
«Nient’affatto. Grazie ai contenuti del decreto Cutro, noi abbiamo esteso la rete di primissima accoglienza in Calabria e in Sicilia, cioè nei luoghi di primo sbarco, e questo ci ha consentito una gestione più ordinata del fenomeno. I primi effetti dell’applicazione del decreto Cutro ci incoraggiano a continuare su questa linea».
Il record di sbarchi però come se lo spiega?
«È il frutto di una pressione migratoria epocale legata a una drammatica crisi socio-economica in Tunisia. Prova ne sia che, se le statistiche fossero limitate agli altri Paesi tradizionalmente di partenza (Algeria, Libia, Turchia e via dicendo), i dati degli arrivi nel nostro Paese sarebbero addirittura in calo. La Tunisia è un’anomalia. Le illustro un aspetto molto importante. Molti pescherecci fanno un altro mestiere. Abbiamo scoperto l’attività di accompagnamento, da parte degli equipaggi dei pescherecci, di nugoli di barchini che al largo vengono depredati dei motori, in vista del salvataggio dei migranti ad opera della nostra Guardia Costiera.
Da qualche giorno, in raccordo con la Procura di Agrigento, abbiamo disposto un servizio avanzato di polizia in alto mare a cui concorrono Polizia, Guardia di Finanza e Marina. Queste operazioni di contrasto a dei veri e propri atti di pirateria hanno già portato all’arresto di diverse persone. I pirati riciclano i motori e le barche. Se noi interrompiamo il ciclo dell’approvvigionamento dei trafficanti, ci possiamo aspettare una riduzione degli sbarchi. Il reato di pirateria contestato dalla Procura di Agrigento è di particolare gravità e prevede da 10 a 20 anni di carcere. Confidiamo che questa severità e la nostra assoluta determinazione a praticarla possano essere un deterrente fondamentale».
Impressiona un aspetto: le Ong, che prima erano considerate i «taxi del mare» in combutta con i trafficanti, adesso sembrano coinvolte nel recupero dei migranti. A che cosa si deve questa svolta?
«Quel che sta accadendo è la riprova che non abbiamo mai avuto pregiudizi. L’applicazione del decreto di febbraio sul codice di comportamento delle Ong ha voluto solo affermare che, in uno scenario così complesso, non ci fossero soggetti privati che si muovessero autonomamente, sottraendosi al doveroso coordinamento delle autorità nazionali stabilito dall’ordinamento internazionale».
Ora, perfino Ocean Viking ha capito che deve cambiare?
«Adesso anche le Ong agiscono sotto le direttive della Guardia Costiera italiana. Se guardiamo comunque ai numeri dei salvataggi in mare, non c’è nessuna opera particolare di supplenza da parte delle Ong. Il soccorso in mare è assicurato dallo Stato: su 72.046 salvataggi in zona Sar, quasi tutti sono stati fatti dallo Stato mentre le Ong ne hanno effettuati 4.113».
Siamo in tempi di preparazione della Finanziaria. Per la sicurezza che risorse ci saranno?
«Già nella scorsa legge di bilancio sono stati potenziati soprattutto gli organici delle forze di polizia. Finalmente, a partire da quest’anno, il numero delle assunzioni supera significativamente le uscite per il turn over. Producendo un recupero generazionale rispetto a un gap anagrafico che si era accumulato nel tempo. La prossima legge di bilancio proseguirà lungo questa strada e sarà la continuazione naturale del decreto di settembre che per noi è cruciale e del quale le parlavo prima».
Intanto, i romani sono sconvolti da quanto sta accadendo a Ostia: di nuovo gli attentati mafiosi. Perché?
«In quell’area ci sono segnali evidenti della ripresa di una conflittualità tra gruppi criminali. Proprio in queste ore si è svolto il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ed è stato disposto immediatamente, dal prefetto Giannini, un rafforzamento del controllo sul territorio».
Lei è stato prefetto di Roma, si aspettava questa recrudescenza mafiosa?
«Conosco bene la situazione e già da allora abbiamo lavorato molto, anche sul racket delle occupazioni abusive degli immobili nell’area di Ostia. Questa è una grande piazza di spaccio. Non escludo di partecipare personalmente ad un vertice che il prefetto Giannini e il sindaco Gualtieri hanno preannunciato e che si dovrà tenere a settembre nel municipio di Ostia».
Per finire, vorremmo farle una domanda personale: lei è sempre stato un tecnico della sicurezza, dopo quasi un anno da ministro si sente un politico?
«Il ruolo del ministro dell’Interno non può non avere una declinazione politica. È un compito che impone di fare delle scelte che indirizzeranno le professionalità del campo tecnico a cui appartenevo prima. Il passaggio di funzione per me è stato molto significativo. Ma c’è un tratto che accomuna l’esperienza del tecnico e quella del politico: il senso di responsabilità nei confronti dei cittadini».