Il Ministro dell’Interno Piantedosi: «Gli sbarchi rallentano, ora accordi con l’Africa»

Migranti direttiva ministro Piantedosi
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Sarà un’altra calda estate sul fronte migratorio. Ma sulle coste italiane gli sbarchi clandestini saranno meno del previsto. Nel giorno della missione europea a Tunisi di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Mark Rutte per trovare una via di uscita alla crisi del Paese nordafricano, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rassicura: tra accordi con i Paesi terzi e la stretta delle regole europee, si assiste già a «un rallentamento delle partenze».

Ministro la visita di Meloni a Tunisi porta con sé grandi aspettative. Si troverà un accordo per sbloccare il prestito del Fondo monetario internazionale?

«È proprio questo l’auspicio. Il viaggio del presidente Meloni insieme a von der Leyen e Rutte dimostra la leadership italiana in Ue sui temi migratori e nei rapporti con i Paesi terzi. In Tunisia si decide la vera sfida dell’Ue: la cooperazione allo sviluppo con i Paesi africani da cui originano e transitano i flussi».

Come può Tunisi uscire dalla crisi finanziaria? Servono prima gli aiuti economici o le riforme chieste dal Fmi?

«Le due cose devono andare di pari passo. È importante che nessuno abbia nei confronti di Tunisi un atteggiamento pregiudiziale e pedagogico. Vanno anzi sostenuti lo sforzo del governo tunisino e le giuste aspirazioni del popolo di uscire da questa crisi finanziaria e sociale».

In Ue si discute di un prestito da 900 milioni di euro. Giusto erogare subito i fondi senza attendere il Fondo monetario?

«Certo, il nostro auspicio è che l’Ue si muova subito. Aggiungo che l’Italia ha voluto e ottenuto la creazione di un fondo europeo per gli interventi sulla “dimensione esterna” proprio per consentire progetti mirati di sostegno ai Paesi di origine e transito dei flussi, a partire proprio dalla Tunisia». 

Crede che l’impasse si sbloccherà? 

«Lo stallo è un rischio, c’è bisogno di ammorbidire i toni da tutte le parti. La Tunisia deve sentire la voce amica, non ostile, dell’Europa e delle istituzioni internazionali».

L’Italia si muoverà anche da sola per aiutare Saied?

«Abbiamo messo in campo diverse iniziative. Penso alla linea di credito da 110 milioni di euro per il bilancio delle Pmi tunisine. Ma anche all’elettrodotto italo-tunisino che realizzerà un grande corridoio dell’energia pulita tra Africa ed Europa. A questo si aggiunge la cooperazione per il contenimento dei flussi, i controlli congiunti per pattugliare i confini a Sud, la lotta al jihadismo e la formazione dei giovani tunisini che vogliono lavorare in Italia». 

Riaprirete il decreto flussi?

«Non abbiamo alcun pregiudizio su un suo ampliamento». 

La Tunisia può essere considerato un Paese terzo “sicuro”? I diritti umani sono rispettati?

«La Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani». 

Quali altri Paesi sono ritenuti sicuri dall’Italia?

«La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani. Valuteremo di volta in volta avendo cura, come chiesto dagli amici tedeschi nelle trattative in Ue, che vi siano connessioni personali dei migranti con quei Paesi».

Dobbiamo attenderci un’escalation di sbarchi sulle coste italiane questa estate?

«Stiamo cogliendo timidi segnali incoraggianti per i flussi estivi rispetto alle previsioni pessimistiche di inizio anno, i dati dimostrano un rallentamento delle partenze dal Nord Africa. E siamo fiduciosi di vedere quanto prima gli effetti della nostra collaborazione con i Paesi terzi». 

Il patto europeo sui migranti è davvero una vittoria per l’Italia? Le nuove regole sulle procedure di frontiera gravano su una macchina dell’accoglienza già sotto stress. 

«Non c’è dubbio, per l’Italia sono un impegno sfidante ma riguardano persone che arriverebbero comunque sul nostro territorio. E in Europa abbiamo ottenuto tre garanzie: inserire questo lavoro in una cornice giuridica europea; ottenere l’impegno finanziario degli altri Stati membri e, infine, una clausola di revisione che ci consente di rivedere gli impegni qualora non siano sostenibili». 

Impegni su cui Paesi come Polonia e Ungheria mostrano molti dubbi. 

«Le istituzioni europee sapranno comporre in sede di applicazione delle regole le diverse sensibilità di tutti gli Stati membri. La nostra battaglia per devolvere i finanziamenti degli Stati membri alla cooperazione con i Paesi terzi per bloccare all’origine le partenze, se funzionerà, metterà d’accordo tutti, anche i Paesi dell’Europa dell’Est». 

Il governo si è mosso anche in Libia ricevendo a Roma il premier Dbeibah e il generale Haftar. C’è una via italiana alla stabilizzazione?

«Come ha detto Meloni a Dbeibah la priorità è la pacificazione nazionale attraverso libere elezioni. Nel frattempo continueremo a collaborare con il governo di unità nazionale libico dando seguito al memorandum anche sul fronte del controllo dei flussi migratori, con l’invio pattuito di mezzi e risorse alla Guardia costiera». 

Ministro, tornando al sistema di accoglienza continua a far discutere la cancellazione della protezione speciale per i migranti. Tornerete indietro?

«Non abbiamo cancellato, bensì riportato questo strumento alla sua funzione originale che era quella di affiancare e non sostituire i canali legali di ingresso in Italia. Negli anni invece la protezione speciale, unicuum in Europa, si è trasformata spesso in un diritto permanente di soggiorno». 

Anche sulla stretta delle regole per le Ong andrete avanti?

«Non vedo una stretta. Con le nuove regole introdotte abbiamo disciplinato i salvataggi in mare, come succede ovunque in Ue, senza intralciarli in alcun modo».

È arrivato il momento di rivedere la legge Bossi-Fini?

«Si può aggiornare e razionalizzare con una riforma complessiva che tenga conto di come è evoluto il fenomeno migratorio. Ma senza approcci ideologici legati alla nomenclatura. Ricordo che la legge Bossi-Fini ha solo modificato il testo della Turco-Napolitano». 

Intanto le regioni governate dal centrosinistra si oppongono allo stato di emergenza e la costruzione dei Centri di permanenza e rimpatrio. Troverete un’intesa?

«Non abbiamo capito il perché di questo rifiuto di un sistema che renderebbe più snelle le procedure. Rischia di costituire un danno ai cittadini di quelle regioni, più che al governo».

Nelle grandi città italiane c’è un problema sicurezza dovuto anche all’immigrazione irregolare. Rafforzerete ulteriormente i presidi in aree critiche come le stazioni a Milano e Roma?

«Manteniamo alta l’attenzione e lavoreremo con i sindaci per ridurre le cause dell’emarginazione sociale in queste zone. Da quando abbiamo aumentato i controlli di polizia e vigili però i reati che avvengono in quei contesti sono diminuiti e gli autori di episodi di violenza sono assicurati alla giustizia in tempi sempre più rapidi».

L’impegno delle forze di polizia sul territorio aumenta la percezione di sicurezza nell’opinione pubblica. Che però è rimasta scioccata dai fatti della questura di Verona. Come evitare che si ripetano?

«Se i fatti saranno confermati, da parte del governo non potrebbe che confermarsi l’assoluta, incondizionata e ferma condanna. Insieme al Capo della Polizia lavoreremo per capire come sia stato possibile e per evitare che chi veste la divisa possa dare luogo a questi episodi. Non va mai dimenticato che sono una limitatissima eccezione rispetto alla professionalità e alla dedizione di decine di migliaia di poliziotti italiani che meritano tutto il nostro rispetto».

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