“Quando mi sono trovata di fronte alla diagnosi è stato uno shock. Era appena nato mio figlio: ho avuto il terrore che restasse senza di me. Poi mi sono aggrappata a quello che mi hanno insegnato in Accademia: mai arrendersi; mai dire “io non ce la faccio”. E ho cominciato la battaglia contro il cancro, lunga e dolorosa”. Da sette anni Giulia Cornacchione combatte il tumore al seno.
E’ stata una delle prime ragazze in assoluto a diventare ufficiale dell’Esercito, superando nel 2000 le selezioni di Modena. Poi è diventata comandante di una batteria missilistica contraerea; ha guidato i suoi artiglieri in missione in Bosnia e in Kosovo.
Ma il nemico più pericoloso l’ha trovato dentro di sé. “Un’eventualità che ritenevo lontanissima. Non ho mai fumato, sono sportiva e allenata: come tutti i militari mi sottopongo a controlli medici frequenti. Non avevo neppure precedenti in famiglia. Me ne sono accorta per una sorta di premonizione: all’inizio solo una sensazione, che nel 2015 gli esami hanno trasformato in certezza. A quel punto però è inutile chiedersi “perché è toccato a me”: nessuna di noi se lo merita. L’unica cosa è reagire: tirare fuori la grinta per lottare con le unghie e con i denti. Di sicuro ti permette di resistere alle brutte notizie e di rispondere meglio alle cure”.
Dopo tre interventi chirurgici, seguiti da chemio e radioterapia, il maggiore Giulia ci tiene a raccontare la sua storia: “Spero che serva ad aiutare tante donne ad affrontare questa sfida. E’ come quello che accade tra i veterani: solo chi ha vissuto la stessa esperienza riesce a comprenderti. Ecco, contro questo male noi donne dobbiamo essere vere guerriere”. Per dare un contributo concreto alla ricerca contro il cancro, ha partecipato più volte a “Race for the cure”, la corsa che si terrà a Roma domenica per raccogliere fondi e sensibilizzare sulla prevenzione. Quest’anno ha creato una squadra, chiamandola con il motto dell’Accademia: “Una Acies” ossia ”una sola schiera”, come la solidarietà che l’ha sorretta nella sua lotta.
“Le mie compagne di corso, le “pioniere” come ci chiamiamo tra noi perché siamo state le prime a indossare l’uniforme, mi sono sempre state vicine e sono venute a correre con me. Adesso però ho voluto fare di più, soprattutto per ricordare una giovane in servizio con me nella scuola sottufficiali di Viterbo: è stata colpita dallo stesso male ed è morta lo scorso ottobre”. Il tam tam delle caserme ha trasformato la corsa di Giulia in una mobilitazione: oltre seicento militari dell’Esercito, inclusi diversi generali, e loro familiari hanno già aderito all’iniziativa, ottenendo pure il sostegno dell’ex ministra della Difesa Roberta Pinotti. “E’ una sorpresa meravigliosa, si stanno iscrivendo e donando donne e uomini in servizio in tutta Italia, persino dal Kosovo e dal Libano. Ti fa sentire parte di una grande famiglia”.
Giulia guarda avanti, senza dimenticare quello che ha attraversato. “Il momento più difficile è stato parlarne ai miei genitori. Ma mi sono detta: se sono forte io, lo saranno anche le persone che mi sono accanto. Prima della terapia ho deciso di tagliarmi i capelli da sola: li ho rasati a zero. Mio figlio era piccolissimo e quando mi ha vista si è spaventato: indicava la testa con il ditino e diceva “No! No!”. Per un po’ allora ho indossato un cappello. Adesso ha sette anni ma nelle foto di quel periodo non riesce a riconoscermi. Mi chiede: “Ma sei veramente tu?…”. Il tumore ti lascia dentro cicatrici profonde: sono stati anni duri e non posso dire che sia finita, ma sono convinta che tutto questo mi abbia aiutato a crescere. E non è riuscito a togliermi l’entusiasmo”.