Qualche giorno fa siamo rimasti basiti nell’ascoltare le dichiarazioni dell’illustre professore Tito Boeri durante la trasmissione “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio.
Secondo l’economista del Lavoro e già presidente dell’Inps i militari godono di privilegi previdenziali che gli altri cittadini non hanno, loro percepiscono una pensione doppia rispetto a quello che hanno versato e comunque superiore ai comuni cittadini.
Questa dichiarazione è stata percepita da molti come una provocazione.
D’impulso avremmo voluto fare un comunicato stampa di indignazione in quanto, anche nei numerosi Finanzieri iscritti all’U.S.I.F., sono stati davvero molti i sentimenti di sdegno, rabbia, delusione e incredulità al riguardo.
Allo stesso tempo, però, la dichiarazione ha avuto ad onor del vero l’effetto di far riemergere una delle tante problematiche che da troppo tempo affliggono i militari.
Siamo rimasti ancor più sconcertati quando il prof. Boeri ha dichiarato che è giusto che tutti sappiano che esistono questi privilegi, poi si può scegliere se mantenerli o meno.
Quest’ultima frase ci ha lasciati increduli in quanto potrebbe apparire una maniera per accendere l’antagonismo tra le diverse classi di lavoratori.
In termini più oggettivi è sembrato voler alimentare una contrapposizione fra gli appartenenti al comparto sicurezza e difesa (tra cui figurano anche i finanzieri) e il mondo civile.
Ma per chi è del mestiere, come ad esempio Lei, sa benissimo che molte volte una frase o una sterile polemica potrebbe avere dei riflessi profondi e incontrollabili nella società con conseguenze anche su l’ordine e la sicurezza pubblica.
La nostra lettera non vuole essere una risposta polemica alla sua provocazione, vuole solo fare chiarezza sull’illogica e fuorviante rappresentazione che i militari possano essere un elemento di criticità del sistema previdenziale stante un trattamento di privilegio a loro riservato.
Ricordiamo a noi stessi, e non solo, che la riforma del Sistema pensionistico obbligatorio e complementare di cui alla Legge n. 335 del 8 agosto 1995, ha sancito un cambiamento dei trattamenti previdenziali, con il passaggio dal sistema Retributivo a quello Contributivo, con la conseguenza che il Personale delle Forze Armate, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e dei Vigili del Fuoco arruolato dal 1 gennaio 1996 (nonché quello che alla data del 31 dicembre 1995 non poteva vantare un’anzianità Retributiva pari o superiore a 18 anni) ha subito sensibili conseguenze previdenziali dalla suddetta riforma stante, tra l’altro, il mancato avvio della previdenza complementare.
La mancata attivazione della previdenza complementare si configura come un “danno futuro” con conseguenze che si manifesteranno al momento in cui il richiedente andrà in pensione, dal momento che il tempestivo avvio dei fondi pensione avrebbe generato un montante più elevato per i militari, oltre a consentirgli un risparmio in termini di tassazione Irpef in virtù di una maggiore ammontare.
In altri termini…. I MILITARI SARANNO I NUOVI POVERI DEL FUTURO…questa è la vera criticità del sistema previdenziale riservato ai militari.
Già nel 2004 una pubblicazione della Stato Maggiore Esercito – Reparto Affari Giuridici ed Economici del Personale “I tre pilastri del nuovo sistema previdenziale italiano”, nelle conclusioni, citava: ... i primi veri effetti delle riforme pensionistiche degli anni 90 si otterranno non prima del 2018 allorquando coloro che sono assoggettati al sistema misto contributivo si affacceranno alla soglia della pensione…saranno loro che dovranno fare i conti con una pensione che non garantirà più gli attuali standard di vita. Il calcolo della pensione con il metodo contributivo, infatti, potrò assicurare al massimo il 60% dell’ultima retribuzione. Ciò sta a significare che dopo una lunga vita di lavoro, il reddito si dimezzerà, nel momento in cui, magari, i bisogni della famiglia aumentano.
Nel 2009 il Ministro della Difesa (Ignazio La RUSSA) aveva evidenziato, con una lettera al Ministro della Pubblica Amministrazione (Sen. Maurizio SACCONI), il mancato accantonamento per il personale delle Forze Armate delle quote di contributi relativi alla previdenza complementare e che, ove non si fosse intervenuti opportunamente e con urgenza, avrebbe comportato sensibili effetti sul futuro trattamento pensionistico degli interessati.
Effetti negativi che oggi chi non aveva maturato i 18 anni contributivi al 31 dicembre 1995 sta tristemente vivendo in prima persona.
Per essere chiari, e non di parte, segnaliamo che con la legge di Bilancio per l’anno 2022 si è avuto per la prima volta uno stanziamento di fondi destinati all’adozione di provvedimenti normativi volti alla progressiva perequazione del relativo regime previdenziale, attraverso l’introduzione, nell’ambito degli istituti già previsti per il medesimo personale, di misure compensative ed integrative.
Caro Professore questa è la verità!
Per non farci un torto potrebbe perorare, anche attraverso la sua partecipazione a trasmissioni televisive, il finanziamento della proposta di legge avanzata nella legislatura precedente (A.S. N. 2180) e riproposta all’attuale (A.S. N. 161), che prevede l’applicazione di coefficienti di trasformazione più favorevoli al personale.
L’U.S.I.F. – il Sindacato dei Finanzieri – le porge i più cordiali saluti.