Gratteri: «La nuova riforma della Giustizia depotenzia del 50% il contrasto alle mafie»

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Nicola Gratteri torna a parlare della riforma della giustizia. L’occasione è rappresentata dalla presentazione del libro, scritto insieme ad ad Antonio Nicaso “Non chiamateli eroi. Falcone, Borsellino e altre storie di lotta alle mafie”, tenutasi ieri sera a Soverato.
«Il senso di questo libro – esordisce il procuratore di Catanzaro – è spiegare ai ragazzi alcuni esempi di vita, non solo quelli celebrati come Falcone e Borsellino. Abbiamo raccontato storie di persone meno conosciute che hanno combattuto le mafie ed il senso è quello di non mitizzare queste persone morte in nome di idee, valori, di senso dello Stato, perché morti inconsapevolmente, da persone che pensavano a vivere in maniera normale».
Dopo aver approfondito le figure dei due magistrati uccisi in Sicilia, Gratteri cita anche storie meno note, come quella di Rocco Gatto, mugnaio ribellatosi alla ‘ndrangheta di Gioiosa Jonica e del capitano dei carabinieri di Roccella, Gennaro Niglio.

Nel libro «abbiamo raccontato storie di bambini uccisi dalla ’ndrangheta e da Cosa nostra perché, purtroppo, ci sono ancora degli stoltiche addirittura si definiscono degli intellettuali, che girano la Calabria pronti a fare la differenza fra la mafia o la ’ndrangheta di una volta e quella di oggi, cercando una sorta di giustificazione. Questa specie di intellettuali vanno in tv e nei giornali a spiegare le differenze fra le mafie arcaiche e quelle di oggi. Tutto ciò è aberrante perché da sempre le mafie sono parassitarie ed hanno ucciso donne e bambini per fini propri. Le mafie non hanno onore, le regole della ’ndrangheta servono perché gli altri le osservino, perché il re non fa le corna. I capi mafia, i contabili delle cosche, sono quelli che vanno a trovare a casa le giovani spose con bambini, perché i mariti sono in carcere, per portargli soldi presi dalla bacinella, dalla cassa comune, in modo tale che i carcerati non pensino a collaborare con la giustizia sentendosi abbandonati. A noi, a proposito di quell’“onore” e quell’etica della ’ndrangheta – avanza Nicola Gratteri – è capitato di vedere donne che sono state abusate, violenze sessuali perpetrate sulle mogli di questi detenuti. E poi abbiamo assistito a degli omicidi incomprensibili, che potevano far pensare a nuove faide mentre erano i mariti che una volta usciti dal carcere dovevano risolvere il problema dell’abuso di violenza sulle mogli».

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«L’“onore”, i “valori” servono a convincere, a abbindolare gli stupidi, i garzoni della ’ndrangheta, quelli utili idioti che pensano di diventare ricchi e importanti – dice ancora Gratteri – non capendo che i garzoni finiranno al massimo killer e con la dignità economica di un idraulico, con la differenza che a un idraulico un lavoro su cinque non gli viene pagano e quindi torna a casa arrabbiato, ma la notte dorme; il corriere di cocaina, invece, guadagna 1500 euro, e rischia dieci anni di carcere o di essere ammazzato. Che senso ha – chiede il magistrato – il fare il garzone di ‘ndrangheta per arricchire gli altri? Noi stiamo cercando di spiegare con questi libri, soprattutto la non convenienza a delinquere. Questa è la ricetta del lungo periodo, quello che serve. Nel breve servirebbe un sistema giudiziario diverso da quello che c’è ora e non ne parliamo se dovesse essere approvata la riforma della giustizia discussa in questi giorni. Sarà la fine, un depotenziamento del 50% nel contrasto alle mafie».

Nicola Gratteri prosegue dicendo che parlare ai ragazzi non è mai tempo perso, perché «sicuramente c’è un ritorno. Quando vado a scuola a parlare con gli studenti non approccio all’etica e alla morale, non mi seguirebbero più, non dico loro cosa è giusto e cosa sbagliato, dopo cinque minuti aprirebbero il telefono. Racconto loro del consumismo e dei modelli che impartiscono le televisioni, l’apparire, di una ragazza che non conosce la tabellina del sei ma poi esce in copertina in quei giornali di gossip da un euro. E nessuno che si chieda che fine abbia fatto quella ragazza un anno dopo, se sia cocainomane o debba prostituirsi per vivere. Per noi i professori erano dei miti, la cultura era un valore che non c’è più da 30 anni. Ai ragazzi parlo di soldi, di quello che gli interessa e inizio a spiegare quanto guadagna un corriere della droga o un idraulico. Sono in magistratura dal 1986 e sempre più spesso mi capita di incontrare giovani colleghi o poliziotti che hanno deciso di servire lo Stato dopo avermi ascoltato a scuola».

L’utilità dei modelli positivi «nel rapporto coi ragazzi è un discorso che vale nel lungo periodo e che richiede anni di lavoro, ma da solo non basta. Per contrastare le mafie ci vogliono gli strumenti e se pensiamo alla riforma tanto discussa in questi giorni, mi chiedo come sia possibile. Se sappiamo già che in appello la durata media è di tre anni e si sostiene che non deve durare più di due, vuol dire che almeno il 50% degli imputati è fuori. Pensate agli omicidi colposi, ai parenti che non possono esserci risarciti perché non c’è stata la condanna. Perché non posso arrivare all’appello?».

Il procuratore di Catanzaro spiega poi quanto stia servendo il dibattito e le critiche mosse alla riforma della giustizia in cantiere. «Abbiamo iniziato a parlarne, sono stato ascoltato dalla commissione Giustizia della camera ed ho cercato di spiegarmi con degli esempi. Ha iniziato a parlarne qualche collega, e poi alcuni politici, timidamente. Ma qui non si tratta di cambiare qualcosa, siamo ai fondamentali: il termine improcedibilità deve sparire dalla legge, altrimenti non andremo da nessuna parte, Sarebbe anche meglio tornare alla riforma prima di Bonafede. Qualcuno dice che basterebbe assumere magistrati, cancellieri, operatori della giustizia. Certo, ma i magistrati dove li trovi?» domanda retoricamente.

«Da due anni non si fa più un concorso in magistratura e non riusciamo nemmeno a sostituire quelli che vanno in pensione. Mi spiegate a che servono i magistrati al ministero del Lavoro o degli Esteri? Meglio assumere un professore di diritto internazionale che costa la metà di un magistrato che a sua volta va a fare il lavoro per il quale ha vinto il concorso. Vi sembra normale che in Sicilia ci siano quattro Corti d’Appello per 5 milioni di abitanti e in Lombardia solo due per il doppio degli abitanti? È normale che a 70 chilometri dalla Corte d’Appello di Palermo ci sia quella di Caltanissetta o che in Abruzzo c’è un tribunale ogni 20 chilometri? Iniziamo a ragionare in questi termini, mettendo a regime gli uffici giudiziari. Queste cose si possono fare in tempi rapidi. Perché non pensiamo ad esempio a limitare i motivi per poter ricorrere in Appello o in Cassazione, giacché molti di questo sono pretestuosi? Quando poi i grandi pensatori si mettono a fare gli esempi di altri Stati mi viene l’orticaria. Stamattina si faceva il raffronto col Canada: ma si può confrontare l’Italia al Canada, che ha la metà degli abitanti e meno di un quarto della criminalità organizzata del nostro Paese? Compariamo i magistrati italiani a quelli europei ma i nostri sono i più laboriosi d’Europa, a parte il fatto che in molti Stati sono il doppio. I ricorsi alla Cassazione – conclude Nicola Gratteri – in Italia sono dieci volte di più che in Francia, Paese che vanta una volta e mezza i nostri abitanti».

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