Centinaia di morti causati dagli scontri tra camorristi, ma non solo: la figura di Raffaele Cutolo è legata anche ad omicidi di persone che non facevano parte di quel mondo e che hanno pagato con la vita l’essersi opposti al clan. Tra questi Giuseppe Salvia, vice direttore del carcere di Poggioreale, e i politici Marcello Torre e Pasquale Cappuccio.
Un uomo tutto d’un pezzo, d’altri tempi, un benefattore, quasi un eroe romantico. Che “ha fatto anche cose buone”, si potrebbe dire. A 24 ore dalla morte di Raffaele Cutolo sono i social il terreno su cui fioccano i commenti di quelli che si potrebbero definire nostalgici, di ammirazione. È l’agiografia che ha da sempre accompagnato la figura del “professore di Ottaviano”, il boss dei boss, morto a 79 anni. In carcere ha trascorso oltre 50 anni, una quarantina quelli in isolamento totale. “In tutta la mia vita non ho mai fatto piangere nessuno se non coloro che volevano farmi del male”, scrisse in un documento fatto pervenire insieme a una poesia contro l’eroina al quotidiano La Nuova Sardegna, mentre era rinchiuso all’Asinara. Ma fu veramente così? Le morti di tanti innocenti, come Giuseppe Salvia, Marcello Torre e Pasquale Cappuccio raccontano una storia diversa.
L’Antistato per costruire il consenso camorrista
Di sicuro, un fatto oggettivo c’è: Cutolo ha rivoluzionato l’idea della camorra, ha perfezionato l’assistenzialismo che già elargivano i vecchi boss e l’ha messo a sistema, ha costruito un apparato di “protezione” che andava dal sostegno economico all’assistenza legale. Un merito, ragionando in ottica di azienda camorra, che però corrisponde a un enorme, incredibile demerito dello Stato: il boss si è infilato in quei contesti degradati a cui le Istituzioni non sapevano (e non sanno) dare risposte, si è rivolto agli ultimi degli ultimi. Ma non era un benefattore, tutt’altro: si trattava di guadagnare consensi per accrescere il proprio potere. Con la stessa disinvoltura ha elargito posti di lavoro, denaro e condanne a morte.
Giuseppe Salvia
Giuseppe Salvia, vice direttore del carcere di Poggioreale
Il carcere di Poggioreale, anche se questo nome viene usato per lo più nei documenti ufficiali, è intitolato a Giuseppe Salvia, che ne è vice direttore negli anni ’70 del secolo scorso. Viene nominato giovanissimo, quando nel 1973 accetta l’incarico ha appena 30 anni e lo mantiene fino alla sua morte, solo otto anni dopo. È il periodo in cui la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo recluta affiliati nei carceri. E il “professore”, che ha questo soprannome semplicemente perché porta gli occhiali e sa leggere e scrivere a differenza della maggior parte dei detenuti, è rinchiuso proprio a Poggioreale.
Nel 1980 Giuseppe Salvia firma quella che probabilmente sarà la sua condanna a morte. Cutolo rientra da un processo e, come da prassi, deve essere perquisito. Il boss, però, si rifiuta. Mentre i poliziotti tentennano, temendo ritorsioni sulle proprie famiglie, Salvia si fa avanti. Lui, che in quel momento è lo Stato, contro Cutolo, che rappresenta la massima espressione dell’Antistato. Lo perquisisce personalmente, per poco non prende anche uno schiaffo. Il 14 aprile 1981 Giuseppe Salvia viene ucciso sulla Tangenziale di Napoli, all’altezza dello svincolo dell’Arenella, da un commando di cutoliani. Ha 38 anni, una moglie e due figli piccoli. Per quell’omicidio Cutolo, che si è sempre professato innocente, viene condannato all’ergastolo come mandante.
Marcello Torre
La storia di Marcello Torre è legata agli anni del terremoto dell’Irpinia e, soprattutto, ai soldi della ricostruzione. Avvocato penalista, nel 1980 viene eletto sindaco di Pagani (Salerno), la sua città natale. E da primo cittadino mette subito in atto una politica di strenua opposizione alle infiltrazioni camorristiche. Resta in carica appena 4 mesi: l’11 dicembre 1980 viene ammazzato a colpi di lupara da due killer che lo stavano aspettando davanti a casa sua.
Sono passate un paio di settimane dal terremoto, è ancora in corso la conta dei danni, degli sfollati. Numeri che diventeranno soldi, tra finanziamenti e appalti. E Torre, in quel contesto, è un ostacolo. È qualcuno che “voleva fare del male”, ma alla camorra. Per quell’omicidio Raffaele Cutolo viene condannato all’ergastolo come mandante (in via definitiva nel 2002). L’11 dicembre 2007 la famiglia di Marcello Torre ha ricevuto dal presidente Napolitano la medaglia d’oro al valore civile, al sindaco di Pagani sono intitolati una piazza davanti al Tribunale di Napoli e lo stadio comunale.
Pasquale Cappuccio
Anche la morte di Pasquale Cappuccio è legata a quegli anni dell’ascesa della Nuova Camorra Organizzata. È un avvocato e politico di Ottaviano, in provincia di Napoli, il paese natale di Raffaele Cutolo e centro nevralgico degli affari criminali del boss. È lì che si trova il castello Mediceo, simbolo del potere della Nco. Cappuccio, a più riprese, denuncia le ingerenze criminali negli appalti e nella speculazione edilizia. Viene ucciso il 13 settembre 1978, mentre è in auto con la moglie, che rimane ferita. Le indagini si indirizzano subito verso il clan guidato da Cutolo, sotto processo finiscono Salvatore La Marca, all’epoca sindaco di Ottaviano, Luigi La Marca, suo parente, e Pasquale Cutolo, fratello del boss. Ad oggi l’assassino non ha un nome: i tre imputati sono stati prosciolti per insufficienza di prove.
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