Arriva la legge che legalizza i sindacati dei lavoratori nelle forze armate e nei corpi di polizia a ordinamento militare. Il relatore e padre putativo della Proposta di legge (Pdl) è Giovanni Luca Aresta, deputato del Movimento 5 Stelle e capogruppo dei pentastellati in commissione Difesa. La nuova norma, con cui si aprono al sindacato le forze armate, ma anche carabinieri e guardia di finanza, approda domani (30 marzo 2022) alla Camera, dopo il passaggio in Senato, dove sono state apportate alcune modifiche. Per questo la Pdl torna indietro per l’ultimo esame. Dovrebbe essere discussa e votata senza problemi perché, seppur all’esame di vari emendamenti, il suo iter non ha mai avuto scossoni. Il testo ha passato il vaglio della Commissione difesa della Camera nel gennaio 2019, poi è stata votata alla Camera; votata anche in Senato con delle modifiche condivise e domani l’ultima tappa. Se dovesse vedere l’ok della maggioranza, la proposta diventerebbe legge a tutti gli effetti.
Una novità storica per le forze armate e in generale i reparti militari. Un comparto di oltre 300mila lavoratori dell’amministrazione pubblica, dove non si sa neppure come è fatto un sindacalista. Ora viene riconosciuto il diritto di concorrere a definire i contenuti del rapporto d’impiego e, più in generale, le proprie condizioni di lavoro. Le cose cambieranno, anche perché, è scritto nella legge, “gli statuti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari sono orientati al rafforzamento della partecipazione femminile e alla trasparenza del sistema di finanziamento”, oltre che “ai principi di democraticità”. Dunque i sindacati nei reparti militari serviranno non solo per una maggiore tutela delle condizioni di lavoro, ma anche per sdoganare la presenza femminile.
La sentenza sul codice dell’ordinamento militare
Ma cos’è cambiato rispetto al passato? Perché una legge proprio oggi? A fare da spartiacque è stata una sentenza della Corte costituzionale (la numero 120 del 13 giugno 2018), che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 1475, comma 2, del codice dell’ordinamento militare, nel quale si legge: “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”. Secondo la Consulta, quella parte è illegittima e ha anzi rimarcato come i militari possano costituire associazioni professionali a carattere sindacale, purché alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge. E’ stata dunque questa sentenza a far cadere un tabù, dal quale è nato poi l’iter per la legge Aresta.
“Con la libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia a ordinamento militare, arriviamo a una conquista di civiltà che rende più forte la nostra democrazia e più affini a quelli degli altri lavoratori i diritti dei “professionisti con le stellette”, – aveva detto Aresta durante la discussione alla Camera – pur confermando e garantendo la tipicità dello status militare nel contesto dell’amministrazione pubblica. Di questo, in qualunque modo, dobbiamo essere orgogliosi. A noi era richiesto di fare questo passo decisivo e codificare in una legge dello Stato un diritto oramai maturo nella nostra società. Il Parlamento vigilerà per la piena attuazione di questo diritto e potrà intervenire nelle sue linee d’indirizzo al Governo in sede di discussione dei regolamenti attuativi. È evidente che, come accade per tutti i provvedimenti che intervengono normando un ambito nuovo del nostro ordinamento, ci sarà spazio in questo senso per i miglioramenti e le correzioni che la pratica dell’esercizio del diritto sindacale potrà così produrre” aveva concluso.
I sindacati dei militari: le novità della legge
- Diritto associazione sindacale.
- Principi e limitazioni.
- Principio di parità di genere nell’assegnazione delle cariche.
- Diritto di assemblea.
- Poteri negoziali.
La legge stabilisce i principi e le modalità attraverso le quali si possono costituire le associazioni sindacali fra i componenti di una forma militare. Ad esempio i fondatori sono tenuti a depositare lo statuto al Ministero della difesa o a quello dell’economia e finanza, a seconda di quale sia il corpo di riferimento. Anche perché, come stabilito anche dalla Costituzione, ogni organizzazione sindacale deve ispirarsi ai principi democratici e della Repubblica. Questo vale anche per i futuri sindacati dei militari. Il Ministero infatti funge da organo controllore che i requisiti fondanti non vengano mai meno ed eventuali dispute verrebbero discusse di fronte al giudice amministrativo.
I Ministeri però fungono anche da raccordo e organo di riferimento delle organizzazioni sindacali, che “possono presentare ai Ministeri competenti osservazioni e proposte in merito all’applicazioni delle leggi e dei regolamenti, nonché segnalare le iniziative di modifica, possono essere auditi dalle Commissioni parlamentari e, infine, richiedere incontri con i ministri competenti e gli organi di vertice delle Forze armate e Forze di polizia a ordinamento militare”.
Ci sono anche delle limitazioni. Si pensi agli allievi militari, che cono equiparati agli studenti e mancano di un inquadramento nella struttura permanente della Forza Armata che li porta ad essere esclusi dalla vita sindacale. Vi potranno entrare quando, passato il corso, l’allievo diventa militare a tutti gli effetti.
Un altro limite è il divieto di sciopero, che è confermato per i militari come lo è anche per la polizia di stato ad esempio. Almeno per due motivi. Il primo è l’impossibilità di sospendere l’attività, che è il cuore della protesta di chi indice uno sciopero. Inoltre il fatto che alle forze di polizia e alle forze armate la nostra Costituzione delega l’uso della forza e delle armi, che non è compatibile con il diritto allo sciopero.
Non vuole essere una limitazione la parte in cui si specifica come, nell’assegnazione delle cariche elettive dei sindacati, si devono seguire, oltre a quelli base di democrazia interna, anche i principi di rispetto della parità di genere. Questo vuole infatti essere un incentivo alla partecipazione sindacale da parte delle donne in divisa.
Nell’articolo 10, che non ha subito alcun ritocco in Senato, si sancisce il diritto di assemblea. Una cosa ovvia, quasi naturale quando si parla di sindacato, ma per chi veste una divisa militare, è tutto nuovo. Con la legge Aresta, i militari potranno tenere delle riunioni in uniforme nei luoghi di lavoro o anche senza divisa in luoghi pubblici. Sono autorizzate riunioni durante l’orario di servizio, con tempi e modi da concordare con i comandanti perché tutto sia compatibile con gli incarichi di lavoro.
Il Senato ha normato i requisiti minimi di rappresentatività, 3% se appartenenti a due o più forze armate e 4 per cento ad una sola. L’obiettivo è evitare la polverizzazione della rappresentanza sindacale che ne minerebbe il prestigio e la forza. Inoltre, al tavolo della contrattazione, l’interlocutore avrebbe così cognizione di causa della forza e della rappresentatività di ogni singolo sindacato. Anche perché questo potrà davvero incidere sulla vita dei lavoratori. I sindacati avranno il potere di negoziare i contratti e le modalità di lavoro con i Ministero o con i suoi rappresentanti a livello nazionale. Come avviene già oggi per tutte le altre forze sindacali riconosciute in Italia.