Due terzi delle donne facenti parte delle forze armate britanniche hanno subito violenza sessuale, bullismo e molestie. Ovvero il 58% di quelle in servizio, percentuale che sale al 64% se si contano anche coloro che hanno lasciato la divisa. E l’esercito, dove a occupare le posizioni di potere sono principalmente gli uomini, ha fatto di tutto per non assicurare i responsabili alla giustizia, sminuire i reclami e le denunce delle vittime e nascondere l’accaduto. È il risultato sconvolgente del rapporto redatto dal Comitato sulle donne nelle forze armate, guidato dalla veterana Sarah Atherton membro del partito conservatore e parlamentare nella House of Commons.
Quattromila le testimoni ascoltate durante l’inchiesta, alcune delle quali già in congedo.
«Le storie che abbiamo raccolto dipingono un quadro difficile per le donne. Quando la vittima viene violentata nell’ambito militare spesso si trova a dover vivere e lavorare con il suo aguzzino, nella paura che raccontare l’accaduto possa rovinare per sempre la sua carriera», ha detto la deputata.
[sc name=”pubblicit” ][/sc]Tra gli esempi «scioccanti», ci sono anche stupri di gruppo e richieste sessuali in cambio di promozione o avanzi di carriera. Alcune vittime hanno raccontato di essere state bullizzate per aver rifiutato le avances degli uomini. Altre hanno assistito alle aggressioni di gruppo subite dalle amiche ma si sono dette troppo spaventate per parlare. E per le soldatesse impegnate nelle zone di guerra l’ambiente diventa ancora più pericoloso. Rebecca è una delle soldatesse violentate che ha lasciato l’esercito, scrive la Bbc. Quando ha denunciato l’accaduto lo ha fatto non solo per ottenere giustizia ma anche per cambiare un sistema corrotto: «È un club di uomini e sai di essere in minoranza. Dicono che sei stata aggredita perché hai bevuto troppo. Dicono: questo è quello che sei e noi non ti crediamo». Sta continuando la sua battaglia con l’aiuto di una charity, il Centre for Military Justice, diretto da Emma Norton. Secondo quest’ultima chi ha il coraggio di formalizzare un reclamo va incontro alla fine della sua carriera e deve fare i conti con un cambiamento radicale nella propria vita.
Sophia è stata un ufficiale della Royal Navy fino al 2017. È stata molestata e poi aggredita sessualmente dal suo capo ma i suoi tentativi di denuncia sono stati inutili, è stato come «andare contro un muro. L’esercito è un club per soli uomini», ha precisato, aggiungendo che un simile reclamo avvenuto sotto i loro occhi avrebbe rappresentato una «cattiva pubblicità per loro e per le loro carriere». Ha lasciato la marina militare e ha portato il suo aggressore in un tribunale civile. Una strada che il comitato responsabile dell’inchiesta ha inserito nelle conclusioni del rapporto, diretto al Ministero della Difesa. Togliere i casi di violenza e molestie sessuali dai tribunali militari e trasferirli in quelli civili dove la giustizia sembra essere molto più equa è infatti una delle soluzioni proposte: le condanne nell’ambito militare sono dalle 4 alle 6 volte inferiori rispetto al giudice civile. Insieme a questa raccomandazione, il comitato ha avanzato altre due richieste: che venga istituita un’autorità responsabile di gestire le accuse di bullismo, molestie e discriminazioni; e che alle donne vengano fornite uniformi e attrezzatura adeguate alla loro corporatura. Nel rapporto è infatti emerso che molte militari sono state mandate in combattimento con visiere e protezioni della misura sbagliata. Dettagli non da poco dal punto di vista della sicurezza e che avrebbe potuto costare loro la vita.
Una grave mancanza, lamentano, che dimostra come il Ministero della Difesa non abbia ancora compiuto i passi necessari per migliorare l’accesso delle donne alla carriera militare. «Le soldatesse non stanno avendo giustizia. Ora ci è chiaro che i casi di violenza sessuale non possono essere giudicati dalla corte marziale – ha precisato la Atherton – Abbiamo ascoltato testimonianze di come gli ufficiali in alto grado abbiano nascosto le violenze e soprattutto i reclami per proteggere la loro stessa reputazione e carriera. Ci sono sicuramente anche altri ufficiali che vogliono fare la cosa giusta ma è evidente che il personale femminile è stato fortemente deluso da tutta la catena di comando». Uno scandalo che ricorda il MeToo del mondo del cinema. Con molte meno paillettes, ugualmente sconcertante.