“Serve la prova che il tempo non fosse sufficiente a recuperare la giusta lucidità per svolgere il servizio. Altrimenti il fatto non sussiste“
Condanna annullata, perché il fatto non sussiste, per il finanziere scelto, “sorpreso” dai carabinieri visibilmente ubriaco, tre ore e mezzo prima di iniziare il suo turno. Un’accusa che era costata al militare la condanna per il delitto di ubriachezza in servizio, aggravato dal grado e dalla recidiva. Malgrado i precedenti però l’amante del buon vino evita la pena, di un mese e dieci giorni di reclusione militare, la cui sospensione sarebbe stata condizionata grazie allo svolgimento di lavori di pubblica utilità.
L’incontro con i carabinieri
A mettere nei guai il finanziere era stato l’incontro, alle 20 e 30, con i colleghi dell’Arma, che lo avevano identificato come presunto autore dell’aggressione ai danni di un minorenne. In quell’occasione i carabinieri avevano constato che l’uomo, classe ’79, parlava con un tono di voce alto, aveva gli occhi lucidi, barcollava e aveva l’alito vinoso. Era abbastanza per accompagnarlo in caserma e suggerire agli appuntati trovati sul posto – che avevano sottoscritto un regolare rapporto – di mandarlo in “branda” per un buon sonno. Consiglio che un tenente aveva seguito, spostando alla mattina seguente il turno del finanziare, che avrebbe dovuto invece iniziare il servizio a mezzanotte.
Il tribunale militare
Per il tribunale militare, era scattata la tolleranza zero e la conseguente condanna. La Cassazione però non è d’accordo con il verdetto. I giudici ammettono la gravità del reato di ubriachezza, sia dolosa che colposa, per un militare, punito con una pena fino a sei mesi, visto il ruolo svolto. E precisano anche che nel concetto di servizio rientra anche la consegna per “reperibilità”, condizione che impone al militare di presentarsi in caserma entro un’ora dalla chiamata.
L’accertamento del tempo di recupero
Nel caso esaminato però il finanziere scelto si salva, perché il gomito era stato alzato tre ore e mezza prima del servizio. In più il tenente che gli aveva cambiato l’orario non aveva constato in prima persona le sue condizioni ma si era basato sul rapporto dei colleghi. Mancava dunque un accertamento tecnico sanitario per affermare che l’alterazione era così grave da non consentire all’imputato di “recuperare” ed essere in grado di svolgere il suo lavoro in modo corretto nell’orario che gli era stato assegnato.