I rapinatori della «banda delle ville» si facevano passare per finanzieri. Due di loro però finanzieri lo erano davvero, due appuntati. E quindi, quando entravano nelle case in divisa, coi loro distintivi, e con verbali e decreti della magistratura falsificati per simulare ispezioni per evasione fiscale, erano finanzieri nell’aspetto e nel ruolo, che si muovevano però da criminali.
Per quella serie di rapine tra Milano e le province di Bergamo e Brescia, sulle quali arrivarono in convergenza due indagini sia della Guardia di finanza, sia dei carabinieri, la banda accumulò un guadagno di 810 mila euro.
La cifra, confermata da sentenze ormai passate in Cassazione, è decisiva per comprendere il maxi risarcimento al quale i due ex militari, a poco meno di una decina d’anni dai reati, sono stati ora condannati dalla Corte dei conti con una sentenza depositata nei giorni scorsi. Dovranno infatti pagare in totale al ministero dell’Economia e al loro vecchio corpo di appartenenza 354.740 euro. Prima di verificare quale sia stato il calcolo, bisogna ripercorrere alcuni passaggi della sentenza.
La «mortificazione»
«Grande è stato lo scalpore — spiegano i giudici della Sezione giurisdizionale della Corte per la Lombardia — causato dal fatto che delitti così gravi siano stati commessi proprio da coloro che i crimini dovrebbero prevenirli e contrastarli e, per di più, in associazione con altri delinquenti (“La banda delle ville”) con abuso della loro posizione e delle conoscenze delle modalità operative della polizia giudiziaria, con l’utilizzo di segni distintivi della Guardia di finanza, dell’auto di servizio e di provvedimenti dell’autorità giudiziaria contraffatti».
A partire da questa ricostruzione e valutazione, «non vi è dubbio che tali vicende abbiano gravemente menomato l’immagine dell’amministrazione sia all’esterno, tra i cittadini, causando disdoro e vulnerando la fiducia che gli stessi hanno nei confronti della Guardia di finanza, che all’interno dell’amministrazione stessa, per la mortificazione inferta ai colleghi onesti e fedeli al servizio».Su queste conclusioni, come sempre accade nelle valutazione della Corte di conti, ha pesato il fatto che la notizia sia stata ampiamente riportata dagli organi di informazione, e ciò ha ovviamente avuto un impatto decisivo per valutare appunto il «danno di immagine».
Il calcoloLa banda dei finanzieri che rapinava le ville venne fermata dai colleghi delle fiamme gialle e dai carabinieri nel 2015. Nei capi di accusa venivano elencati furti e rapine tra Milano, Lumezzane (Brescia) e Dalmine (Bergamo). I processi sono dunque avvenuti di fronte a più Tribunali per una lunga lista di reati: «Rapina, usurpazione di pubbliche funzioni, furto aggravato, uso di segni distintivi (paletta della Guardia di finanza), porto abusivo di armi comuni e da guerra, ricettazione di armi con matricola abrasa, uso di segni distintivi artefatti delle procure della Repubblica di Bergamo e di Torino e della Guardia di finanza, sezione antiriciclaggio».
La banda aveva anche una sorta di base logistica nei dintorni di Milano, a Carpiano. E dato che era composta da dieci persone, i giudici hanno ipotizzato che, da un calcolo complessivo di 810mila euro rubati e rapinati (contanti, gioielli, altri oggetti di valore), ogni componente avesse ricavato la decima parte di quella somma, dunque 81 mila euro. Come danno di immagine in caso di reati così gravi, la legge prevede che il danno possa equivalere al doppio dei proventi dei reati: è così che si arriva a quella condanna a un risarcimento vicina ai 360 mila euro. Milano.corriere.it