Donne nelle Forze armate: sono oltre il 7% dell’intero organico

Pilotare un aereo, indossare l’uniforme della Marina, mettere la propria professionalità al servizio del Paese in cui si è nate. Per secoli sono stati desideri illegittimi. Aspirazioni senza sbocco. Sogni a occhi aperti di decine di giovani donne che immaginavano per sé una carriera lavorativa che non gli era concessa: quella nelle Forze armate. Poi 22 anni fa qualcosa è finalmente cambiato.

Il 20 ottobre 1999, con la legge numero 380/99, l’Italia, ultima tra i Paesi della NATO, ha dato anche alle donne la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni entrando nell’Esercito, nell’Aeronautica, nella Marina o nell’Arma dei Carabinieri.

A differenza di altre nazioni, l’Italia decise fin da subito di equiparare le carriere maschili e femminili come spiega il Tenente Colonnello Rosa Vinciguerra – capo della Sezione Pari Opportunità e prospettiva di genere dello Stato Maggiore della Difesa – secondo la quale «l’assenza di preclusioni di incarichi e di impieghi oltre che di ruolo o di categorie, rende il modello di reclutamento italiano tra i più avanzati del mondo per quanto riguarda le pari opportunità».

I primi arruolamenti avvennero a inizio 2000 e mostrarono subito quanto i sogni di quelle ragazze fossero forti. L’adesione ai primi concorsi indetti dalle Accademie, superò infatti quella degli altri Paesi europei. Solo per fare qualche esempio: all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli per 136 posti arrivarono 12546 domande e di queste il 50,84% erano state presentate da donne. Furono invece più del 57% le candidate che chiesero di entrare all’Accademia Navale di Livorno e 54,91% sul totale dei candidati, le che si presentarono alle selezioni dell’Accademia Militare di Modena.

Numeri incoraggianti che raccontano quanto certe aspirazioni fossero reali e che si tradussero, negli anni successivi, in un progressivo ingresso delle donne nelle Forze armata, anche se fino al 2006 solo una piccola percentuale di allieve – compresa tra il 10% e il 30% – poté davvero accedere alle accademie per ufficiali o alle scuole per sottufficiali e truppa. Una scelta legata alla necessità di adeguare e ripensare – in vista di numeri più importanti – sia i luoghi fisici sia l’organizzazione che fino a quel momento aveva tenuto in conto solo le esigenze e le caratteristiche del personale maschile.

Così, negli ultimi 20 anni, le Forze armate hanno iniziato a fare i conti con problemi nuovi legati al confronto tra i sessi come la differenza nelle prestazioni fisiche, la questione della conciliazione della vita professionale con la maternità (che ha portato anche alla creazione di asili nido all’interno di alcuni insediamenti militari), ma anche il tema delle «possibili devianze comportamentali come le molestie e lo stalking». Per mantenere alta l’attenzione su tutte queste questioni nel 2012 è stato creato il Consiglio interforze sulla prospettiva di genere che, come spiega Vinciguerra, «Ha, tra gli altri, il compito di esprimere pareri sull’integrazione del personale maschile e femminile nell’organizzazione militare e sulle azioni di policy per le pari opportunità e la prospettiva di genere. Mentre sempre nel 2012, per migliorare la cultura su questi temi, relativamente nuovi per l’organizzazione militare italiana, lo Stato Maggiore della Difesa ha emanato elaborato delle linee guida che danno indicazioni sia sul rispetto delle pari opportunità all’interno delle Forze Armate sia sull’adozione della prospettiva di genere nelle attività operative».

Questo lungo processo di inclusione ma soprattutto di integrazione si riflette oggi su percentuali femminili ancora piuttosto basse. «La presenza delle donne – spiega Vinciguerra – è ancora limitata sia per numero sia per grado. La proporzione in cui uomini e donne sono rappresentati nella compagine militare non rispecchia, neanche in parte, la reale composizione per genere della società. Anche nelle Forze armate c’è quindi ancora tanta strada da fare per avere un’equa rappresentanza di genere. Obiettivo non facile da conseguire soprattutto se si pensa che la media delle consistenze di personale militare femminile degli altri Paesi NATO che hanno ammesso le donne molto prima dell’Italia è ancora dell’11%».

Secondo gli ultimi dati disponibili sul sito del ministero della Difesa che si riferiscono a dicembre 2019, le professioniste che operano all’interno delle Forze armate italiane sono 17mila, pari a circa il 7% dell’intero organico. Mentre se guardiamo alla sola Aeronautica le donne presenti, su un totale di 40mila unità sono 1936. Di queste 53 ricoprono l’incarico di pilota.

L’esempio di Elettra Bossoni

Tra le donne che in Aeronautica ricoprono l’incarico di pilota c’è la Capitana dell’Aeronautica Elettra Bossoni che sognava di diventare pilota da prima che la legge lo rendesse possibile. «Ho iniziato a pensare al volo – racconta – al momento della scelta della scuola superiore. Ricordo che mi chiesi che cosa volevo fare da grande e l’unica risposta fu ‘la pilota’. Crescendo quell’idea si è rafforzata e si è unita al desiderio di farlo in ambito militare perché per me indossare l’uniforme significa mettere la mia passione e i miei sogni al servizio di tutti».

Nata a Manerbio, in provincia di Brescia, nel 1986 in una famiglia senza alcun legame con la carriera militare, Elettra Bossoni ha piano, piano saputo convincere tutti di quanto quello che allora sembrava solo un sogno fosse in realtà una vera passione. La legge del 1999 è stata per lei una “notizia epocale” e la possibilità di arruolarsi ha cambiato la sua vita. «Nel 2005 – ricorda Bossoni – finite le scuole superiori, ho presentato domanda per entrare in Accademia Aeronautica e ce l’ho fatta assieme a una quindicina di ragazze su un centinaio di ammessi totali».

Da allora, un passo dopo l’altro, Elettra Bossoni ha vissuto e affrontato tutti le sfide di una carriera che fino a pochi anni prima era concessa solo agli uomini. «Nel 2010 ho conseguito il brevetto di pilota militare presso la base aerea Sheppard, in Texas, e dopo di che sono stata assegnata alla 46esima Brigata aerea di Pisa e ho fatto diverse missioni sia in Italia che all’estero, come ad esempio in Afghanistan».

Un percorso che ha messo Bossoni di fronte a momenti di difficoltà ma anche di grande crescita, come nel caso della scuola di volo, un’esperienza che l’ha portata ad avvicinarsi ai temi della leadership e della formazione manageriale di cui è formatrice dal 2017. «La scuola di volo, sia che la si frequenti in Usa come ho fatto io, sia in Italia, è un momento molto particolare perché presenta molte difficoltà ma soprattutto costringe a confrontarti con i tuoi limiti. Per me – spiega la pilota – è stato un fondamentale momento di crescita. È stato allora, infatti, che ho capito di aver bisogno di intraprendere una strada che mi consentisse lavorare costantemente sul mio valore e sui miei limiti e di voler condividere quanto avevo imparato con gli altri».

Un altro momento di passaggio nella vita di Elettra Bossoni e di molte donne che, come lei, hanno deciso di arruolarsi, è stata la nascita dei figli: «Il ruolo di pilota – spiega – è piuttosto gravoso e quindi ogni volta che ho affrontato una gravidanza ho dovuto smettere di volare. Ho però continuato a lavorare con il mio gruppo di volo occupandomi della pianificazione e della gestione delle missioni. E dopo ogni gravidanza sono risalita sull’aereo».

Oggi, 15 anni dopo il suo ingresso in Accademia, Elettra Bossoni non ha nessun dubbio: arruolarsi è stata la miglior scelta della sua vita, quella che ancora oggi la rende più orgogliosa di se stessa. «Alle ragazze che hanno il mio stesso sogno – conclude Bossoni – direi di rincorrerlo e di non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà perché le soddisfazioni sono molte di più degli ostacoli».

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