Il suo comportamento immediato era stato giudicato grave, evidenziando una completa mancanza di pentimento durante il primo interrogatorio, il che aveva portato alla conferma della sua detenzione da parte del giudice.
Tuttavia, il tribunale del riesame ha cambiato prospettiva, considerando gli abusi sessuali su una carabiniera come un fatto di “lieve entità” in quanto limitati a un palpeggiamento violento.
Questa è la sintesi essenziale del provvedimento che ha modificato la situazione di un somalo di venticinque anni arrestato nelle scorse settimane.
Abusi ad un carabiniere: i fatti
I carabinieri sono intervenuti poco dopo le 22:30 al pronto soccorso dell’ospedale Villa Scassi a Sampierdarena, dove era segnalata una zuffa tra due pazienti in attesa di visita e cure mediche. All’arrivo dei carabinieri, la lite era ancora in corso e uno dei pazienti, allontanato dall’altro, ha aggredito la carabiniera con violenza e ripetuti palpeggiamenti.
È scattato l’arresto per resistenza e violenza sessuale. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, l’indagato ha negato ogni addebito, sostenendo di essere al pronto soccorso per accompagnare un amico ubriaco.
Inizialmente, il fermato ha fornito una ricostruzione dei fatti notevolmente divergente da quella di altri testimoni, arricchendola con parole eccentriche.
Successivamente ha leggermente modificato la sua posizione, presentando una lettera di scuse e raccontando dei tentativi di integrazione in Italia attraverso il lavoro, nonostante il gesto compiuto risultasse eloquente.
Il tribunale del riesame, pur non contestando i gravi indizi di colpevolezza, ha reinterpretato l’aggressione sessuale come un evento di minore entità.
Le toghe sottolineano che la diminuente si applica quando la libertà della vittima è stata offesa in modo non grave. Nel caso specifico, la limitata invasione della sfera sessuale della parte offesa, la rapidità del gesto e il contesto concitato in cui è avvenuto suggeriscono una minore gravità del fatto.
I magistrati insistono, sostenendo che persiste comunque un pericolo di ripetizione di reati simili, poiché il gesto compiuto riflette inequivocabilmente un atteggiamento di prevaricazione nei confronti del genere femminile e mostra l’incapacità dell’indagato di controllare i propri impulsi, anche di fronte all’intervento delle forze dell’ordine.
Tuttavia, il collegio, considerando la modesta gravità del fatto, ritiene sufficiente sostituire la detenzione con l’obbligo di firma in questura, meno gravoso.