Se non la smettono di starmi addosso sparo, o sparo ai loro figli». Queste alcune delle frasi che Stefano Milacic, 47enne, condannato (con il rito abbreviato) nel dicembre del 2020 a due anni e 4 mesi per aver confezionato l’ordigno esploso nei pressi del liceo Flaminio di Vittorio Veneto la notte fra il 2 e il 3 giugno del 2018 e a processo per detenzione illegale di armi e porto di arma e munizioni (alcune in concorso con un altro imputato, Loris Biasi uscito di scena con un patteggiamento) relative ad un un presunto commercio di armi da guerra avrebbe pronunciato in riferimento agli investigatori che erano sulle sue tracce e che lo stavano ascoltando.
Ma come faceva a sapere di essere intercettato? Semplice: aveva qualcuno, dentro alla Compagnia dei Carabinieri di Vittorio Veneto, che lo aveva avvisato delle cimici nella sua auto e che qualche giorno dopo gli darà una mano a eliminarle.
A.R., 47 anni, appuntato dell’Arma, un tempo in forza al N.O.R. vittoriese, sarebbe la persona che l’avrebbe messo in guardia dell’attività di intercettazione in corso nei suoi confronti. A incastrare il carabiniere sarebbero, secondo la Procura, proprio alcune registrazioni ambientali e telefoniche con Milacic, allertato sul fatto che nella sua vettura erano state collocate apparecchiature atte a carpire quello che il 47enne diceva.
Poi, qualche giorno dopo, A.R. avrebbe individuato e rimosso i dispositivi. Ma il militare dell’arma si trova a processo a Treviso anche per un altro reato: su di lui pende infatti il sospetto di aver messo in atto, nel decennio tra il 2008 e il 2018, un commercio di armi illegale (59 i pezzi sospetti, per lo più fucili) di cui a beneficiare sarebbe stata soprattutto un’armeria del vittoriese.
Oggi, 13 dicembre, si è svolta la prima udienza dibattimentale (l’uomo è difeso dall’avvocato Gian Battista Zatti del Foro di Venezia).
Era il 2019 quando i carabinieri di Treviso ricevettero l’incarico dalla Procura di approfondire una annotazione della Questura relative ai presunti rapporti che Milacic avrebbe avuto con alcuni carabinieri per l’attività di indagine sulla “bomba” alla scuola vittoriese. Quello che emergerebbe è che il 47enne sarebbe stato al centro di un “florido” scambio di armi.
Si tratta di fucili e pistole che privati riconsegnano ai Carabinieri, su cui, secondo le ipotesi della Procura, il militare (che nel 2007 consegue la licenza per detenzione a titolo sportivo e nel 2009 quella per la caccia) avrebbe messo le mani per lucrare sulla loro vendita. Passaggi di mano tutti documentati ma che i pm trevigiani sospettano non siano avvenute a titolo gratuito ma dietro il pagamento di un compenso. Di queste presunte “vendite” ci sarebbe la prova di uno scambio (uno soltanto) che avrebbe fruttato al 47enne 500 euro.
Fra le persone che avrebbero consegnato ad A.R. fucili e pistole c’è anche, nel 2017, Luciano Dall’Ava, il 72enne di Colle Umberto che il 12 dicembre del 2020 sarà assassinato a coltellate da Giovanni Maria Cuccato che, in preda ad un raptus di gelosia, gli infligge almeno dieci coltellate.
Dall’Ava (e più in là nel tempo anche il fratello) è raggiunto da un provvedimento della Prefettura che gli intima di rottamare, o consegnare ad un altro privato, un fucile da caccia con cui avrebbe minacciato la moglie. Il 72enne finirà a processo per maltrattamenti sul coniuge, da cui uscirà con una condanna.
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