Avevano pianificato di vendere oltre 700 file segreti relativi sulle indagini sull’arresto del boss Matteo Messina Denaro, cercando di utilizzare come intermediario il fotografo Fabrizio Corona. I protagonisti sono un maresciallo dei carabinieri e un consigliere comunale di Mazara del Vallo che sono stati arrestati questa mattina nell’ambito di un’indagine coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
Carabiniere e consigliere comunale arrestati
Il militare, L. P., è accusato di accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio, il complice, G.o R., di ricettazione. Fabrizio Corona è indagato per ricettazione e i carabinieri hanno anche perquisito la sua casa di Milano.
Secondo la ricostruzione dei pm, il carabiniere, in servizio al N.O.R. della Compagnia di Mazara del Vallo, si è introdotto illegalmente nel sistema informativo dell’Arma, ha estratto copia di 786 file riservati relativi alle indagini sulla cattura del padrino, arrestato dal Ros il 16 gennaio scorso, e li ha consegnati a Randazzo. Quest’ultimo ha contattato Corona (indagato per ricettazione) e ha cercato di vendergli i documenti top secret. Poi, su indicazione dello stesso fotografo si è rivolto a Moreno Pisto, direttore del quotidiano online Mow, proponendogli di acquistare il materiale.
Tutto parte da alcune intercettazioni disposte a carico di Fabrizio Corona. Dopo la cattura dell’ex latitante di Cosa Nostra, il fotografo venne in possesso di una serie di audio di chat tra il boss e alcune pazienti da lui conosciute in clinica durante la chemioterapia quando, ancora ricercato, usava l’identità del geometra Andrea Bonafede.
La circostanza spinse gli inquirenti a mettere sotto controllo il telefono di Corona. In una di queste conversazioni (del 2 maggio) il fotografo fa riferimento a uno “scoop pazzesco” di cui era in possesso un consigliere comunale – successivamente identificato – grazie a non meglio specificati carabinieri che avevano perquisito i covi del capomafia e che volevano vendere il materiale.
Nei giorni successivi Corona ha continuato a manifestare l’intenzione di rivendere il materiale che il consigliere gli avrebbe procurato. Il 25 maggio Pisto, Randazzo e il fotografo si sono incontrati. In quella occasione il giornalista di Mow, con uno stratagemma, è riuscito in segreto a fare copia dei file a lui mostrati e offerti dal politico.
Dopo averli visionati e rendendosi conto della delicatezza del materiale si è rivolto a un collega che gli ha consigliato di parlare con la polizia. Pisto, allora, è andato alla Mobile di Palermo e ha raccontato tutta la vicenda. Sulla base delle sue testimonianze gli investigatori hanno cominciato a indagare e hanno scoperto, attraverso indagini informatiche, che i documenti copiati dal giornalista ad insaputa del consigliere erano stati rubati e che l’autore del furto era il militare che aveva lasciato tracce del suo “ingresso” nel sistema e che era uno dei soli due ufficiali che avevano avuto accesso al server della Stazione di Campobello (l’altro carabiniere è risultato estraneo ai fatti).
Continuando a indagare gli inquirenti hanno inoltre scoperto che il carabiniere aveva rapporti di frequentazione con il consigliere. Il tentativo di piazzare i file è stato così sventato e sono state chiarite a quel punto le parole di Corona intercettate a maggio.
Ma cosa c’era in questi file? Secondo quanto scrive il gip nella misura cautelare, l’ex re dei paparazzi “voleva alimentare teorie complottistiche” sull’ex latitante. Corona, secondo gli inquirenti, voleva vendere ‘falsi scoop’ a siti di informazione, in cambio di denaro. Secondo quanto ricostruito il carabiniere e il politico stavano cercando di imbastire un finto giallo con al centro il presunto disegno degli investigatori di ritardare la perquisizione ufficiale dell’ultimo covo di Matteo Messina Denaro e occultare materiale scottante.
Tra i file riservati sulla cattura del boss “rubati” dagli archivi informatici dell’Arma dal carabiniere, oggi finito ai domiciliari, c’era infatti anche un documento del Ros con la programmazione degli obiettivi da perquisire dopo l’arresto del capomafia. Nella versione del file trafugata dal militare, pare per un errore di trasmissione, non era indicato il covo di vicolo San Vito, di Campobello di Mazara, in cui il padrino ha trascorso l’ultimo periodo di latitanza, intestato al suo alter ego, il geometra Andrea Bonafede.
In realtà, sempre secondo quanto ricostruito, al covo di vicolo San Vito, che era stato fin dal principio inserito nell’elenco stilato dal Ros, gli investigatori arrivano nel pomeriggio dopo aver ispezionato le altre proprietà. E solo entrando nella abitazione con Bonafede comprendono che quello potrebbe essere stato l’ultima abitazione di Messina Denaro. Intuizione che il geometra poi confermerà. ilfattoquotidiano.it