Un carabiniere, precedentemente assegnato al Ros (Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma), è stato accusato di aver nascosto una telecamera sulla sua scrivania per monitorare l’attività nel suo ufficio, sia in sua presenza che in sua assenza, inclusi i colloqui dei suoi colleghi.
Questa azione ha portato al suo rinvio a giudizio per installazione non autorizzata di dispositivi per l’intercettazione di conversazioni e per accesso non autorizzato a sistemi informatici, incluso l’accesso alle banche dati delle forze dell’ordine.
La richiesta di accusa è stata accolta dal gup, in seguito alle indagini condotte dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura, in collaborazione con i militari del Ros.
L’indagine ha avuto un inizio evocativo, come recita il noto detto: un’immagine può dire più di mille parole.
Carabiniere dei Ros a processo: i fatti
In questo contesto, si parla di un frame estratto da un video, osservato dagli investigatori nell’ambito di un’altra indagine complessa, che sembra provenire direttamente da una spy story, coinvolgendo tecnologia avanzata e agenzie di sicurezza.
Nel frame si intravede il volto di un individuo, in parte familiare. Si scopre che lavora per un’azienda che fornisce servizi tecnici alla Procura, il che solleva domande su cosa ci facesse lì e in quel momento specifico, come documentato dalla telecamera.
Interrogato, l’individuo fornisce spiegazioni sulle circostanze e sul motivo del suo ingresso in quel luogo, rivelando chi lo aveva contattato.
Questo porta alla luce il coinvolgimento del carabiniere, in servizio al Ros, noto per il suo impegno nella caccia a criminali come mafiosi e terroristi.
Gli inquirenti si rivolgono direttamente al sospettato per chiarire la sua posizione, ma le sue risposte risultano vaghe e, secondo l’accusa, ingannevoli.
Questo porta gli investigatori a effettuare ulteriori approfondimenti, che rivelano presunti accessi abusivi alle banche dati delle forze dell’ordine compiuti dal militare.
L’uomo sostiene di aver effettuato tali accessi per controllare informazioni su alcuni parenti stretti al fine di aggiornare la sua scheda, ma questa versione non convince l’accusa.
Inoltre, gli investigatori scoprono una piccola telecamera collegata al computer del carabiniere, presumibilmente puntata verso i suoi colleghi per controllare le loro conversazioni, anche in sua assenza. L’imputato sostiene che la telecamera fosse visibile agli altri militari, ma questa spiegazione non sembra convincere il giudice. L’imputato stesso, interrogato tramite il suo avvocato, ha preferito non commentare.
Avvocato Militare Studio Parente